Il terrore ritorna al Cairo. Ieri mattina un attentato nei pressi dell’abitazione del ministro dell’Interno Mohammed Ibrahim ha sconvolto la capitale egiziana. Uomini armati hanno lanciato un ordigno contro il convoglio del ministro, in via Mustafa Nahas nel quartiere di Medinat Nassr. Qui si è svolto per oltre 40 giorni il sit-in di Rabaa el-Adaweya, prima del tragico sgombero del 14 agosto scorso, costato la vita a quasi 700 sostenitori dei Fratelli musulmani. All’attacco ha fatto seguito una sparatoria nella quale sono rimasti uccisi due degli uomini armati. Subito dopo l’attentato fonti di polizia parlavano dell’uso di un ordigno telecomandato. Il ministro Mohammed Ibrahim, rimasto illeso, è apparso poco dopo alla televisione di Stato. Ha puntato il dito contro uomini armati, provenienti dall’estero, in connessione con gruppi locali. Ibrahim ha dichiarato che l’evento di ieri potrebbe segnare «l’inizio» di una nuova ondata di terrorismo nel paese. 21 sono le persone rimaste ferite nell’attentato, tra cui un bambino e una donna inglese, mentre quattro veicoli delle forze di sicurezza e altre vetture sono stati danneggiati dall’esplosione. I feriti sono stati trasportati negli ospedali di Medinat Nassr e Agouza. I Fratelli musulmani hanno immediatamente condannato l’attentato di Medinat Nassr. Mentre la coalizione che unisce i maggiori movimenti islamisti moderati e radicali ha indetto una manifestazione per oggi con lo slogan: «Il popolo difende la sua rivoluzione». Dal canto suo, il leader del movimento radicale jihad islamica , Abdel Raouf Mohamed ha definito «inaccettabile» l’attentato di ieri alla vettura del ministro Ibrahim. «Se riprendono questi episodi soffriremo tutti, la jihad islamica ha abbandonato questi metodi già nell’era Mubarak», ha dichiarato il politico. Mohammed Ibrahim è una figura centrale nella repressione del movimento islamista in seguito al colpo di stato militare del 3 luglio scorso. Proprio il sostegno della polizia, controllata da Ibrahim, all’intervento dell’esercito per la destituzione di Morsi, ha assicurato un sicuro successo del golpe, un ampio sostegno della popolazione egiziana e l’appoggio degli uomini del vecchio regime. Ibrahim, nonostante ricoprisse la stessa carica anche nel governo di Hesham Qandil, durante la presidenza Morsi, ha duramente criticato la resistenza islamista alla deposizione del leader della confraternita, ora agli arresti, e ha stigmatizzato l’uso della forza da parte di sostenitori dei Fratelli musulmani. L’attacco di ieri coincide anche con la discussione sulla riforma costituzionale che prevede la possibile esclusione dei partiti basati sulla religione dal nuovo percorso di transizione egiziano. Non solo, la Commissione incaricata di riscrivere il testo ha intenzione di cassare l’articolo che prevede l’applicazione della sharia (legge islamica) nel diritto ordinario: uno dei temi difesi dai movimenti islamisti. E così, un’eventuale esclusione politica dei Fratelli musulmani, che hanno vinto le elezioni parlamentari e presidenziali, sta riportando l’Egitto agli anni Ottanta, quando una spirale di terrorismo ha sconvolto il paese, a partire dall’assassinio dell’ex presidente Anwar al-Sadat. Fino a ieri, gli attacchi contro esercito e polizia dei movimenti jihadisti sono rimasti confinati al Sinai. Anche se alcuni affiliati a gruppi radicali avevano fatto la loro comparsa, mascherati e armati, già nelle manifestazioni seguenti allo sgombero di Rabaa al-Adaweya (negli scontri di piazza Ramsis e del ponte 15 maggio). Che tutto parta dal Sinai viene chiarito, secondo fonti di sicurezza, anche dalla notizia secondo la quale, negli ultimi tre giorni, le forze armate egiziane avrebbero ucciso almeno «75 jihadisti» nella regione. E così, dal ministero della Difesa si fa sapere dell’intenzione di imporre adesso una zona cuscinetto lungo la frontiera tra Egitto e Striscia di Gaza, da dove, secondo l’esercito egiziano, arrivano rinforzi per i movimenti radicali.