Condanne, espressioni di solidarietà, dichiarazioni di amicizia. Il mondo ieri ha reagito subito all’attacco armato in cui, lungo le mura antiche di Gerusalemme, sono rimasti uccisi due poliziotti e gli attentatori, tre arabo israeliani – palestinesi con cittadinanza israeliana, – giunti da Um el Fahem. Ha mancato invece di confrontarsi con una realtà dimenticata, chiusa in un cassetto dagli occidentali e anche dagli arabi: la questione palestinese e il conflitto tra israeliani e palestinesi. La “comunità internazionale” si è adagiata sullo status quo, si è lasciata cullare dalla narrazione del conflitto fatta premier Benyamin Netanyahu fondata soltanto sulle “esigenze di sicurezza” di Israele alle quali sono state piegate politica, diritti e aspirazioni. Quanto è accaduto invece riconferma la centralità della questione palestinese, con in più un nuovo dato significativo: il coinvolgimento degli arabo israeliani in un attacco con armi automatiche, a dimostrazione che discriminazioni e negazione di diritti e identità spingono verso la radicalizzazione.

Si chiamavano tutti e tre Mohammed Jabarin gli attentatori, membri di una delle famiglie più note di Um el Fahem, città della bassa Galilea situata in un’area a maggioranza araba e tra le più emarginate di Israele. Ieri mattina intorno alle 7, hanno postato sui social un selfie con alle spalle la moschea della Roccia e si sono lanciati contro una postazione della polizia nei pressi della Porta dei Leoni dove hanno aperto il fuoco ferendo mortalmente due agenti – Haiel Sitawe e Kamil Shnaan, due drusi – e leggermente un altro. Poi hanno tentato di rifugiarsi nella moschea ma sono stati raggiunti e uccisi da altri poliziotti. Uno degli attentatori si è finto morto e all’improvviso è scattato in piedi cercando di colpire un poliziotto ma è stato abbattuto da decine di colpi di mitra e pistola nel giro di due-tre secondi.

La città vecchia di Gerusalemme è stata immediatamente blindata dalle autorità israeliane e la Spianata delle moschee chiusa (fino a domani), anche per la preghiera islamica del venerdì. Un provvedimento che ha innescato le proteste dei fedeli musulmani – molti dei quali hanno pregato in strada – e delle istituzioni islamiche. La polizia ha arrestato il Mufti di Gerusalemme Muhammed Hussein e il suo predecessore Ekrama Sabri. Il presidente dell’Anp Abu Mazen ha condannato l’attacco armato con una telefonata a Netanyahu ma allo stesso tempo ha chiesto la riapertura immediata del sito religioso. I movimenti islamici Hamas e Jihad hanno applaudito all’attacco che per il Fronte popolare (Fplp, sinistra) rappresenta «un cambiamento qualitativo della resistenza del popolo palestinese». Netanyahu si è riunito con Lieberman, il ministro della sicurezza Gilad Erdan e i comandanti di esercito e forze di sicurezza per decidere nuove misure. Allo stesso tempo – prevedendo le reazioni negative della Giordania (custode di al Aqsa) e di altri Paesi islamici – ha frenato i ministri che chiedevano di sfruttare l’occasione per un blitz politico, ossia cambiare lo status quo della Spianata delle moschee che per gli ebrei rappresenta il Monte del biblico Tempio.

La città vecchia di Gerusalemme si conferma al momento il principale teatro di scontro. Il mese scorso una poliziotta è stata pugnalata a morte e numerosi palestinesi sono stati uccisi, spesso sommariamente, negli ultimi due anni dopo aver tentato o compiuto accoltellamenti di israeliani. Come siano riusciti i tre Mohammed Jabarin ad introdurre sulla Spianata due mitra e una pistola è un mistero che mette sotto pressione la polizia israeliana che impiega centinaia di uomini fuori e dentro l’area delle moschee di al Aqsa e della Roccia. Si valuta anche la credibilità della rivendicazione giunta da Fatah-Intifada, una cellula nata da una scissione dai Martiri di al Aqsa (l’ex ala militare di Fatah, il partito di Abu Mazen) e scomparsa da anni.
A pochi chilometri di distanza dalla Spianata delle moschee ieri si sono celebrati i funerali di Baraa Hamamda, il 18enne palestinese ucciso all’alba in un blitz dell’esercito israeliano nel campo profughi di Dheisheh (Betlemme). Una uccisione di cui si è saputo poco o nulla, come accade ormai per tutto ciò che riguarda la vita quotidiana dei palestinesi sotto occupazione militare. Poco peraltro si era parlato di altri due ragazzi palestinesi, il 21enne Saad Salah e il 17enne Aws Salama, uccisi a inizio settimana durante una incursione di soldati israeliani nel campo profughi di Jenin.