«I nodi arrivano al pettine: gli Stati generali sono finiti ed è il momento che Conte affronti quei nodi»: il clima che si respira nel Pd è questo e i toni, da Zingaretti in giù sono quelli di chi è molto vicino a perdere la pazienza. Il primo nodo, esplicitamente citato dal segretario del Pd, sono i dossier sulle crisi aziendali: «La maggioranza deve chiudere capitoli aperti da troppo tempo: Autostrade, Alitalia, ex Ilva». Il malumore traspare: con quelle questioncine in sospeso, che rischiano di marcire ed erodere la residua stabilità del governo, come gli è venuto in mente al premier di perdere 15 giorni per gli Stati generali? Sul tavolo Autostrade c’è l’apertura, o almeno quella che il Pd considera un’apertura, dell’ad di Aspi, Roberto Tomasi.

A leggere l’intervista rilasciata ieri al Messaggero lo spiraglio sembrerebbe davvero stretto, dal momento che Aspi non recede dalla proposta già bollata da Conte come «irricevibile». Ma è anche vero che l’ad si è detto disposto a trattare oltre la data del 30 giugno e, fanno notare dal gruppo Pd alla Camera, «non era tenuto a farlo». Segno insomma che anche la rigidità sulla proposta «irricevibile» potrebbe essere più di facciata che di sostanza. Conte ha convocato ieri un vertice con il ministro dell’Economia Gualtieri e la ministra delle Infrastrutture De Micheli. Interrotta, poi ripresa, la riunione resta interlocutoria. La carta su cui punta Aspi, oltre alla minaccia di un rimborso tra i 7 miliardi se va bene e i 20 in caso contrario, è sonante: 7 miliardi di investimenti subito. Significa posti di lavoro, in un momento oscurato dall’ombra di una disoccupazione di massa. Significa reddito, in una fase nella quale i consumi al palo sono la spina più acuminata. Ma con i 5S allo sbando, che anche ieri hanno perso un deputato, problema minore, e la senatrice Ricciardi, problema enorme, quadrare il cerchio è un’impresa.

A Taranto non va meglio. Una riunione, ieri, ha iniziato a preparare il terreno per un nuovo confronto tra Invitalia, il soggetto pubblico che dovrebbe entrare in compartecipazione con Arcelor-Mittal nella ex Ilva, e la multinazionale. Mittal, però, non si scosta dal piano industriale presentato il 5 giugno, con 3.200 esuberi. Un’altra proposta «inaccettabile», oltre che per i sindacati, per lo stesso governo.

Anche se Zingaretti non lo nomina, il nodo più aggrovigliato si chiama sempre Mes. Ieri il presidente Charles Michel ha ufficialmente convocato il vertice straordinario del Consiglio europeo per il 17 e 18 luglio. L’appuntamento, stavolta, è decisivo. Senza un accordo i tempi slitteranno, convocare tutti i Parlamenti degli Stati della Ue per la ratifica entro l’anno diventerà probabilmente impossibile, i miliardi del New Generation Eu non potranno arrivare nei primi mesi del 2021 e di conseguenza rischiano di essere stanziati a crisi già martellante in tutta Europa e di più in Italia. Dopo l’incontro di ieri a Roma con il ministro degli Esteri Di Maio, l’omologo olandese Blok ha usato toni molto concilianti: «Siamo a favore di un buon piano, con effetti duraturi. Abbiamo molta ammirazione per l’Italia, che è stata duramente colpita». Non significa che gli ostacoli siano stati rimossi ma è un passo avanti.

Di Mes, al Consiglio, non si parlerà. Capita però che la convocazione richieda la presenza dei capi di Stato in carne e ossa, sottraendo così al governo italiano l’alibi che aveva permesso di evitare il voto del Parlamento prima dell’ultimo vertice. Era in videoconferenza. Dunque, secondo Conte, «informale». Stavolta la formalità c’è tutto, l’indirizzo del Parlamento dovrà essere espresso a termini di legge e si può scommettere che qualcuno, in particolare Emma Bonino che avrebbe già voluto farlo nell’occasione sfumata dell’ultimo vertice, chiederà di mettere ai voti una mozione sul Mes. Qualche gioco di prestigio per evitare un voto che vorrebbe rinviare sino a settembre Conte potrebbe forse individuarlo comunque. Pd permettendo però e stavolta non è detto che il Pd permetta. Un po’ perché la terza fuga consecutiva dal Parlamento sarebbe forse un po’ troppo per la stessa maggioranza. Ma un po’ anche perché la pazienza è finita e il Pd vuole una decisione anche sull’incognita Mes.