I blindati in strada per difendere i ministri delle finanze dei paesi della zona euro contro il popolo che manifesta per uscire da un’austerità mortifera e la ripetizione da parte dei grandi manitù del Fiscal Compact che “bisogna rispettare gli impegni, ridurre i deficit”, frase rivolta all’Italia di Renzi e alla Francia di Hollande, che negli ultimi giorni hanno manifestato qualche insofferenza, oltreché al Portogallo e alla Grecia, che non riescono ad uscire dalla “tutela” della trojka. E’ questa l’istantanea di ieri, ad Atene, alla riunione dell’Eurogruppo, due giorni dopo il segnale di allarme venuto dal risultato delle municipali francesi e a meno di due mesi dalle elezioni europee, che rischiano di mandare a Strasburgo un forte gruppo di anti-europei radicali. Una Commissione arrivata a fine corsa e dei ministri numi tutelari dell’ortodossia sfidano ormai il senso comune, in un’incomprensibile testardaggine. A Renzi che chiede un po’ di margine di manovra, il commissario agli affari monetari Olli Rehn e il presidente dell’Eurogruppo Joeren Dijsselbloem hanno ripetuto: “raccomandiamo di attenersi agli accordi, fiduciosi che verranno rispettai gli impegni” di rientro del debito. Come l’Italia, anche la Francia è sotto “sorveglianza rafforzata” da parte della Commissione. Hollande ha timidamente affermato, lunedi’ sera annunciando la nomina di un nuovo primo ministro, che il prossimo governo dovrà “convincere l’Europa” di dare un po’ più di tempo per rientrare dai deficit, con l’obiettivo di recuperare competitività. Ma Dijsselbloem ha ribattuto ieri all’Eurogruppo, in assenza del ministro francese Pierre Moscovici (ormai dimesso): “la Francia ha già ottenuto un periodo di grazia di due anni, il lavoro resta da fare e spero che il nuovo governo riconoscerà gli impegni”. Rehn ha voluto “rinfrescare la memoria: la Francia ha già beneficiato di due rimandi di scadenza negli ultimi due anni, adesso è importante che passi all’atto e in modo decisivo”, per tagliare i deficit pubblici, che nel 2013 sono stati ancora del 4,3%. Alla Grecia è stata confermata la tranche di 6,3 miliardi di euro, che sarà versata ad aprile, appena in tempo per permettere ad Atene di restituire alla Bce 9 miliardi che scadono a maggio, poi – se verranno portate a buon fine le ulteriori privatizzazioni imposte e le liberalizzazioni anche nel campo dell’energia – arriveranno altri due miliardi, uno a giugno e l’altro a luglio. Al primo ministro, Antonis Samaras, che avrebbe voluto aprire delle discussioni “immediate” tra la Grecia e i creditori per uscire dalla morsa del debito e renderlo sopportabile, è stato risposto picche: “è prematuro”. Stessa reazione nei confronti del Portogallo: con un senso politico che lascia interdetti, la trojka ha deciso di rimandare la liberazione di Lisbona dalla “tutela” a dopo le elezioni europee (in un primo tempo era prevista il 17 maggio), anche se il deficit è stato ridotto al 4,9%, al di là dell’obiettivo fissato. Gli elettori portoghesi andranno quindi a votare ancora sotto il giogo della trojka che ha concesso un “aiuto” di 78 miliardi, cosa che non farà che favorire i partiti populisti e antieuropei, mentre nel paese circola una petizione che propone un’altra via d’uscita, con più tempo (40 anni) nel rimborso per non soffocare ancora di più un’economia già esangue.

Eppure, ieri, l’Eurogruppo aveva di fronte le statistiche pubblicate lunedi’ da Eurostat: la deflazione è una minaccia reale, i prezzi a marzo sono aumentati in media solo dello 0,5%, il più basso livello dal 2009 (in Spagna sono addirittura diminuiti dello 0,2%). La deflazione porta alla paralisi (perché gli attori economici rimandano le decisioni, in attesa di affari a più buon prezzo) e per di più rende ancora più difficile il processo di uscita dal debito eccessivo dei paesi. Persino la Germania sembra preoccuparsi. Oggi, a Berlino dovrebbe essere approvata l’adozione di un salario minimo (a 8,5 euro l’ora), che dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2015. Persino l’ortodosso Jens Weidman, presidente della Bundesbank, ha ammesso che la Bce potrebbe ricorrere a una dose di quantitative easing, cioè una politica monetaria non convenzionale e meno restrittiva. La decisione tocca a Mario Draghi, alla riunione mensile della Bce, giovedi’.