L’hardcore (spesso abbreviato con HC) è stato la risposta dei sobborghi americani alla rivoluzione punk di fine anni ’70 (Steven Blush, American Punk Hardcore); in altre parole, la corrente reattiva alla trasformazione del movimento subculturale di ostentato antagonismo in un prodotto di «consumo» omologato e pretenzioso.
La prima scena musicale HC prende le mosse, agli inizi degli anni Ottanta (Blush ne colloca il biennio d’oro tra il 1981 e il 1982), dalla California del Sud: i «kids» dell’era reaganiana non si riconoscono nella versione annacquata del punk o nella new wave; vanno alla ricerca di un suono più crudo, vero e primordiale, approdando, inizialmente, all’ascolto di gruppi come 999, Angelic Upstairs, Sham 69, e, ovviamente, Ramones.
Sebbene, a posteriori, gruppi come i «Fast Four» newyorkesi (così erano chiamati i Ramones, in risposta ai Fab Four di Liverpool, i Beatles), già icone della prima scena punk Usa, e gli Sham 69, siano stati citati dalle band HC come loro fonte di ispirazione (Ian McKaye dei Minor Threat dichiarava «per qualche minuto gli Sham 69 sono stati la punk band più genuina al mondo. Erano populisti, erano davvero vicini al loro pubblico. I Sex Pistols erano super-alla-moda, mentre lo stile degli Sham 69 era più della serie tute da lavoro. Erano più punk rocker senza i lustrini. Ci hanno dato una grande spinta verso la strada che abbiamo imboccato in seguito»), la crudezza e l’attitudine (già) violenta della loro musica non soddisfa appieno l’esigenza di immediatezza e genuinità del giovane hardcoriano in nuce. Le prime band Usa a spingere la propria musica in una direzione decisamente distorsiva e serrata furono i Germs e i Fear. Altrettanto seminali i Black Flag, gruppo avanguardia dell’HC, instancabili portatori dell’etica lavorativa e del «do it yourself», che daranno l’avvio alla scena Usa attraversando in tour, nel 1981, gli Stati Uniti. Importante anche il chitarrista Greg Ginn che fonderà l’etichetta indipendente Sst; i Bad Brains, band all black, artefice della scena East Coast, si caratterizzeranno, invece, per il tecnicismo: seguaci dell’evangelismo rasta e fan della jazz-fusion nera, abbracceranno il reggae e comporranno brani dalla struttura articolata ( il loro 7” Pay to Cum del 1980 è considerato il disco più veloce della discografia HC). E ancora i Minor Threat con i quali l’HC americano arriva alla maturità: emuli dei Bad Brains, compongono brani dai testi seri e impegnati e teorizzano lo stile «straight edge» – astinenza da alcol, droghe, tabacco e sesso occasionale – locuzione che dà anche il titolo a un loro brano.
GALASSIA USA
Nello stesso periodo prendono forma le scene di altre città americane con gruppi altrettanto importanti: DYS e SSD a Boston; Negative Approach a Detroit; in Texas gli MDC e i DRI; in Nevada i 7 Seconds, e in una New York ancora per poco marginale, gli Agnostic Front, Regan Youth, Cause For Alarm, e i «primi» Beastie Boys.
Attorno alle band seminali, una non meno significativa galassia di epitomi a formare l’originaria scena di un movimento che, a dispetto della previsione di Blush (che ne fissa la «data di scadenza» al 1986), troverà prosecuzione in una New York di metà anni Ottanta.
Qui, in antitesi al mainstream del crossover metal HC e hip hop HC – a cui si convertirono, per ragioni commerciali, alcune delle band della prima ondata, Agnostic Front, Cro-Mags, Murphy’s Law e Beastie Boys, esemplificativa la contradditoria combine tra Anthrax e lo skin Billy Milano nel progetto musicale SOD (Speak English or Die), che mescolava punk e thrash metal, e nella quale trovarono espressione alcuni degli aspetti deteriori dell’HC -, prendono piede alcuni gruppi che ne mutuano fedelmente intenzioni e dogmi, seguendo la via già tracciata dai Bad Brains, che nel frattempo da Washington si erano trasferiti nella Grande Mela.
La nuova scena hardcore newyorkese fa da contesto narrativo al docu-film At the Matinée del regista bolognese Giangiacomo De Stefano (La Sarraz Pictures), già vincitore dell’ultima edizione del Biografilm. Protagonista Walter Schreifels, chitarrista degli influenti Gorilla Biscuits, membro poi degli Youth Of Today e dei Quicksand, ideale guida di un documento che ripercorrere la storia dei Sunday Hardcore Matinée, i concerti della domenica pomeriggio, durante i quali gruppi come Gorilla Biscuits, Underdog, Youth Of Today, Sick Of It All e Killing Time, si alternavano sul palco del CBGB, già tempio punk per eccellenza, sulla pericolosa e degradata Bowery.
Gli HC Matinée caratterizzeranno per circa un decennio la scena underground newyorkese, erigendo ancora una volta Manhattan e, in particolare il CBGB a snodo delle urgenze espressive generazionali, a detonatore e allo stesso tempo componitore di movimenti antagonisti e contro-culturali, impegnato, in una sorta di inconsapevole mecenatismo, a catalizzare la rabbia, altrimenti reietta, dei nuovi «kids».
Danno vita a questa scena un miscuglio di «personaggi» – molti di loro negli anni raggiungeranno una certa notorietà (non solo quindi Beastie Boys, ma Moby, già membro dei Vatican Commandos, il regista Dito Montel, militante negli Urban Waste, l’artista Matthew Barney) – che, nonostante la violenza, mantiene un suo equilibrio, che si romperà solo alla fine degli anni Ottanta.
L’hip hop – che nasce e prende piede in coincidenza con la scena HC, spesso convergendo negli stessi ambienti – e la derivativa arte graffitara traghettano infatti una mentalità da «gang», estranea al movimento punk, e con essa aumenta la violenza. Per questa ragione, Hilly Kristal, proprietario del CBGB, nel 1990 decreta lo stop dei matinée.
Il Lower East Side è una zona che va poi bonificata. Gli appetiti della speculazione si spingono verso Manhattan. Nel 1988 la polizia irrompe nel parco di Tompkins Square, nel cuore del quartiere. Gli scontri sono violentissimi. È il primo segnale della gentrificazione di un quartiere che si avvia a trasformarsi nella patinata rappresentazione di Sex and the City. Viene meno il presupposto sul quale poggia la scena hardcore e con esso, inevitabilmente, i suoi protagonisti.
SGUARDO MILITANTE
Walter Schreifels si rimette in gioco con i Quicksand, altri protagonisti della scena danno vita, sempre nel Lower East Side, all’ABCNORIO – dove riprendono a esibirsi i gruppi più politicizzati (Go!, Citizen Arrest, Rorschach) – altri ancora si uniformano alla nuova idea del New York HC (Merauder, Biohazard, Crown Of Thornz): muscoli in vista e suono «metallico», brutale.
Il CBGB per un po’ regge l’impatto ma, nel 2006, non riuscendo più a sostenere gli affitti della «nuova» Manhattan, nonostante una serie di concerti benefit che coinvolgono Patti Smith, Blondie e gruppi provenienti dalla scena hardcore, chiude.
Il documentario di De Stefano ci consegna tutto questo grazie allo sguardo di un regista che ha vissuto da militante – membro degli Ivory Cage, Summer League, Ageing e Cosa Nostra – la scena hardcore italiana: già autore e produttore di serie, era stato chiamato alla regia di un documentario sui Negazione. Ci racconta che il film era stato fortemente voluto da Marco Mathieu, bassista e motore del fondamentale gruppo torinese, ma mai portato a termine per l’incidente occorso alla storica firma di Rumore e La Repubblica.
At the Matinée è stato acquistato da Sky Arte, che continua a dimostrarsi un canale tematico di eccellenza: infaticabile promotore culturale, che fa del punk rock vocazione e cifra narrativa del proprio palinsesto. Il documentario di De Stefano sarà trasmesso tra maggio e giugno, assolutamente in linea con una programmazione che già raccoglie lo strepitoso successo di Punk, la serie prodotta da Iggy Pop e John Varvatos dedicata al club punk per eccellenza e ai suoi protagonisti.
Ne parliamo con Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte, che ammette: «Sono un appassionato di punk rock e il CBGB è stato sempre una sorta di tempio sacro, di utopia alternativa a cui anelare dalla lontana provincia dell’impero. Sulle fanzine leggevo i racconti epici dei concerti di band amatissime, Television, Misfits, Cramps, Fleshtones – ma il presente era dominato dal pogo muscolare dell’hardcore». «At the Matinée» – continua – è un documentario strepitoso per un regista italiano: grande competenza musicale, adesione totale, un protagonista efficace e una grande economia narrativa. Ha saputo restituire in maniera superba quell’atmosfera ruvida e vitalistica e contemporaneamente la nostalgia di un mondo perduto».