Due eventi, due cataloghi ragionati che esplorano per immagini le radici del nostro immaginario storico. Un uomo e una donna, due nemici, per coincidenza protagonisti a Roma delle mostre archeologiche più attese dell’autunno. Caio Giulio Cesare Ottaviano, divenuto primo imperatore dell’Urbe con il titolo di Augustus nel 27 a.C., e Cleopatra VII Thea Filopatore, di sei anni più anziana: l’ultima regina d’Egitto, morta suicida nel 30 a.C per non cadere nelle mani dell’altro dopo la sua vittoria contro Marco Antonio nelle acque greche di Azio. Siamo stati abituati dalla storiografia contemporanea a prediligere il corso superiore degli eventi al microcosmo dei personaggi che li hanno scritti, eppure le loro biografie continuano a catturare la nostra attenzione. I ritratti consegnatici dalla statuaria riflettono come allora l’immagine di se stessi che volevano comunicare ai propri sudditi, immortalando l’istante in cui l’apparenza diventava la loro essenza.
Per celebrare il bimillenario della morte, avvenuta a Nola nell’estate del 14 d.C., Augusto sarà raccontato alle Scuderie del Quirinale fino al prossimo 9 febbraio, quando prenderà la via del Grand Palais di Parigi.
L’unica esposizione italiana finora dedicatagli era stata organizzata nel 1937, in occasione dei 2000 anni dalla nascita, al Palazzo delle Esposizioni. I sogni di gloria di Mussolini, che voleva aggiornare al futurismo i fasti augustei, toccavano l’apice e l’anniversario finì per esaltare la missione civilizzatrice di Roma in un barbaro Mediterraneo.
La mostra alle Scuderie del Quirinale, progettata dall’ex soprintendente Eugenio La Rocca in collaborazione con il Louvre, è così la prima ad analizzare senza pregiudizi la struttura politica del principato, esemplificando le tecniche di comunicazione augustea attraverso i monumenti figurati, circa 200 opere tra statue, monete, gemme e cammei provenienti dai maggiori musei al mondo. Il percorso espositivo sovrappone la vita di Augusto, l’uomo forte capace di mettere fine a decenni di lotte civili trasformando la Repubblica in Impero, al costituirsi di un nuovo linguaggio artistico caratterizzato, come nei versi di Virgilio e Orazio, Tibullo e Ovidio, dalla centralità di concetti quali pax, pietas, concordia.
Non è per esempio difficile leggere una metafora di opulenza nei rilievi Grimani, eccezionalmente riuniti al Quirinale dal Kunsthistorisches Museum di Vienna e da Palestrina, dove animali selvatici allattano beatamente i loro cuccioli in un paesaggio bucolico.
Non di meno il linguaggio del potere sapeva all’occorrenza diventare esplicito, tanto da piegare la realtà all’ideologia. I rilievi Medinaceli, recuperati nei pressi di Napoli nel XVI secolo e ricomposti da La Rocca grazie alla collaborazione di musei spagnoli e ungheresi, inaugurano la propria narrazione con lo scontro navale di Azio del 31 a.C., il vero spartiacque dell’Antichità. Ebbe luogo infatti di fronte alle coste della Grecia, con la sconfitta di Antonio e il trionfo di Ottaviano, l’atto finale della Res Publica e dell’ellenismo: il periodo storico-culturale che aveva permeato di sé il Mediterraneo dalla morte di Alessandro Magno a quella di Cleopatra.
Proprio alla regina egizia, ultima erede politica del macedone, saranno riservate le suggestive sale del Chiostro del Bramante fino al prossimo 2 febbraio (www.mostracleopatra.it). Cleopatra, infame come Semiramide, Didone e Zenobia perché nonostante donna capace di sfidare uomini di potere; Dante la definì lapidariamente lussuriosa, Shakespeare la descrisse peccaminosa.
Se la letteratura non le ha reso onore, il suo vero volto, nonostante fosse pervaso dalla leggenda che lo voleva bellissimo, fu identificato soltanto nel 1933 da Ludwig Curtius in un marmo conservato nei Musei Vaticani. Fu scolpito tra il 46 e il 44 a.C., quando la regina soggiornò a Roma presso la villa trasteverina di Cesare insieme al figlioletto avuto dal dittatore: Tolomeo XV Cesarione. La sua presenza in città, dalla quale dovette fuggire in seguito alle Idi di Marzo, non passò certo inosservata.
In quegli anni, le matrone iniziarono a portare i capelli all’egizia e a indossare gioielli raffiguranti il sacro ureo, il serpente simbolo dell’immortalità per gli egizi; le case dei nobili, a partire dalla stessa dimora di Augusto e Livia sul Palatino, si riempirono di affreschi, mosaici e statue di ispirazione nilotica.
L’ambizioso obiettivo della mostra, curata dallo storico Giovanni Gentili, è quello di offrire ai visitatori un’immagine obiettiva della regina, non trascurandone la fisionomia. Oltre al primo volto scoperto dal Curtius, spiccano due ritratti mai esposti in Italia.
Dalla Fondazione Gandur di Ginevra proviene una piccola testa lavorata probabilmente quando Cleopatra salì al trono, appena diciottenne, nel 51 a.C.: i tratti sono quelli di una bambina, ma il diadema è portato basso, orgogliosamente, come era solito fare il padre Tolomeo XII.
Sette anni dopo la regina è ormai adulta e sensuali fossette ne approfondiscono l’espressione. È appena tornata da Roma a Alessandria, la New York dell’epoca: un melting pot tra Estremo Oriente, Africa e Mediterraneo. È il celebre marmo custodito al Cairo nella collezione dell’antiquario Maurice Nahman. Lo sguardo emana dignità e ricorda le parole di Plutarco, secondo il quale «la sua bellezza in sé non era del tutto incomparabile»: a fare la differenza erano la «seduzione della parola e il temperamento». Con questi strumenti Cleopatra, puntando tutto sui suoi figli, uno avuto da Cesare e tre da Antonio, si ribellò al protettorato romano. Le ingerenze erano iniziate nel 59 a.C., quando Tolomeo XII, con ingenti elargizioni, era stato aiutato da Pompeo a ottenere il regno, accettando in cambio la perdita di Cipro e la presenza di truppe legionarie nel cuore stesso di Alessandria.
All’Atene del 32 a.C. risale la rilavorazione di una testa di Ottavia, sposa di Marco Antonio e sorella di Ottaviano, in Cleopatra: la regina stava per raggiungere in Grecia Antonio, che colse l’occasione per attaccare il rivale anche per mezzo di una statua. Siamo ormai giunti al tempo della hybris, di quella tracotanza che non è cara agli dei. Quando Cleopatra mise piede in Grecia, il suo destino era già segnato.
Due anni dopo Augusto la fece seppellire, accettò sesterzi per non distruggerne le effigi e, dopo aver fatto uccidere Cesarione, si camuffò da faraone. L’Egitto divenne una sua proprietà personale – anche perché ricco di orzo, grano, papiri e granito – e l’accesso senza un permesso fu interdetto anche ai senatori.
Con Azio cominciò un’altra storia, quella ufficiale: Cleopatra divenne la lussuriosa, Augusto l’Apollo pacificatore in grado di riportare il mondo all’età dell’oro, restaurando l’austerità romana in opposizione a quelle mollezze orientali che avevano sedotto Antonio. Una lettura eternata dall’arte, scritta nel marmo e narrata al Quirinale, dove Augusto è rappresentato preferibilmente come generale o sacerdote.
L’Augusto in marmo pario di Prima Porta, rinvenuto presso la villa di Livia sulla Flaminia e esposto nei Musei Vaticani, indossa la corazza dei legionari. L’Augusto di via Labicana del Palazzo Massimo alle Terme raffigura un pontefice massimo dai tratti maturi mentre svolge un sacrificio: ha la toga e un lembo del mantello gli ricade sul capo. Curiosamente, la toga cambiò foggia proprio per volontà dell’imperatore, divenendo più ampia in modo da distinguersi dal mantello greco: il rispetto autarchico delle tradizioni romane era un cardine della sua ideologia. Nel Chiostro del Bramante, tuttavia, fa mostra di sé un bassorilievo in arenaria policroma proveniente dal tempio di Kalabsha, in Bassa Nubia, in prestito dal Museo Champollion di Figéac. Un faraone sta celebrando un’offerta agli dei. È vestito come il più ortodosso degli egizi, con il copricapo nemes in bella vista. Il suo nome, in geroglifico, è Augusto.