Che cosa accade quando un’opera d’arte viene messa all’asta? Quali sono i fattori che fanno sì che un quadro sia battuto per cifre da capogiro o, all’inverso, che passi del tutto inosservato? Spesso gli oggetti venduti sul mercato (quadri, sculture, mobili… ) finiscono nelle collezioni dei musei. Altre volte, invece, trovano la loro via verso le case di privati. Molti dei capolavori finiti all’incanto hanno storie avventurose, che richiamano alla mente vere e proprie spy stories. Altre volte, quella che è stata avventurosa è la loro scoperta: solo di recente da una casa della provincia francese è riemersa una tavoletta di Cimabue. L’aspetto che più colpisce il pubblico è, indubbiamente, quello economico. Sono le cifre milionarie messe in campo per aggiudicarsi il possesso dell’opera. Sono fattori diversi e intrecciati tra loro a sancirne il successo alle aste. Non si tratta solo di questioni di gusto, molto spesso è anche un fattore economico, assieme a una buona dose di casualità: nel momento giusto l’opera giusta fa capolino sul mercato. Ed è fatta. Altre volte ancora è un complesso intreccio di tutti questi fattori, ben shakerati.
Già, il mercato. Perché anche questo è un elemento – forse uno dei principali – che influenza il complesso sistema che finisce per portare le opere nei musei oppure nelle case degli altri. Ma «mercato» è parola che include moltissimi elementi, è onnicomprensiva. Ognuno degli attori incampo gioca la sua parte: dalle case d’aste agli acquirenti, da chi vende a chi fa concorrenza. Sarebbe ingenuo voler disegnare un ‘sistema’ unitario, tracciare delle leggi universali sul funzionamento di questi complessi meccanismi. In un certo senso ogni caso fa storia a sé, con specifiche caratteristiche ed elementi costanti e mutevoli.
Proprio sulle pagine di questo settimanale Simone Facchinetti tiene, dal 24 dicembre 2017, una rubrica che si concentra sugli oggetti passati sul mercato: Aux puces. Casi interessanti, spesso divertenti, in cui gli elementi si mescolano e definiscono il caso, intendendo la parola in senso poliziesco. Basti pensare alle opere contraffatte fatte passare per originali, in modo da chiedere al malcapitato compratore prezzi vertiginosamente gonfiati; oppure semplici sviste, in cui un’opera non riesce a trovare il giusto posto nella costellazione che la definisce e che potrebbe aiutare a comprenderne i dati culturali.
I pezzi scritti per questa rubrica sono stati raccolti da Facchinetti in un gustoso libro, Storie e segreti del mercato dell’arte (pp. 229, 37 ill. b/n, 8 tavv. a colori, euro 15,00, il Mulino «Intersezioni»). Ma nel rimontaggio degli articoli l’autore ha anche arricchito il libro di pezzi inediti – in alcuni casi letti come conferenze, in altri scritti appositamente – o pubblicati altrove, che però trovano una loro armoniosa collocazione accanto a tutti gli altri. Penso, ad esempio, ad alcune delle pagine dedicate ai collezionisti – la terza parte del libro – in cui trovano spazio passaggi sulle case di alcuni di loro, in cui sfilano le inclinazioni del gusto, le passioni che segnano scelte collezionistiche ma anche espositive.
Nella prefazione Facchinetti paragona il mercato dell’arte a un luna park: un luogo in cui si entra attratti dalle luci, dalle giostre, dalle bancarelle con lo zucchero filato, e poi ci si diverte a bighellonare da un posto all’altro. Una metafora che calza assai bene ai casi e ai racconti che il libro raccoglie. Ma c’è anche qualcosa di più: sono casi che raccontano una pratica, quella del conoscitore, che scorre come un fiume carsico, una storia parallela tra le pieghe delle vicende dei quadri attributi ad Antoon van Dyck o a Sassoferrato. Perché riuscire a vedere, a vedere sul serio, è difficile, richiede allenamento, esercizio e accortezza. I casi in cui gli occhi di qualcuno hanno saputo scovare un dettaglio rivelatore, capace di orientare verso la giusta soluzione, sono quelli che svelano le ‘regole del gioco’. Ma non meno istruttivi sono anche quelli in cui, in un modo o nell’altro, si viene depistati e non si riesce a risolvere il caso; lungo il percorso, però, si possono fare incontri interessanti e scoperte inaspettate.
Tante volte s’è tentato di raccontare la pratica della connoisseurship; grandi personalità della disciplina hanno provato a mettere nero su bianco le regole che la governano, spiegandoli a parole. Ma ci si è davvero riusciti? Non si ripete, anche in quel caso, il complesso e mai risolto dissidio di sempre, tra qualcosa che ha a che fare con una dimensione visuale e qualcos’altro che, invece, si imparenta con la dimensione linguistica? Non si è, anche lì, di fronte a grandezze incommensurabili? Il libro di Facchinetti in un certo senso ribalta il cannocchiale, e parte dai casi concreti, singoli, e lascia emergere le assi portanti strada facendo.
Uno degli elementi più accattivanti del libro è il divertimento. Il divertimento che, come dichiara esplicitamente, l’autore ha provato nello scriverlo; e che filtra tutto dalle sue pagine, che restituisce l’immagine di un mondo sì rischioso, ma ricco di sorprese, di colpi di scena, in ultima istanza di vita. Le storie che i quadri presi in esame si portano dietro, spesso letteralmente appiccicate addosso – basti pensare a tutte le informazioni che può trasmettere il retro di un dipinto in termini di passaggi collezionistici o esposizioni alle quali ha preso parte –, se correttamente intese e seguite sono come i piccoli segni di riconoscimento che permettono a Pollicino di ritrovare la via di casa. Così, ad esempio, nel caso di un dipinto già attribuito a Tintoretto raffigurante un Senatore della Repubblica di Venezia. Qui le informazioni dovevano essere accordate all’evidenza visiva, a ciò che l’opera ‘dice’ agli occhi: la qualità del quadro non regge il nome cui è attributo. Non può trattarsi di Tintoretto.
Come specifica Facchinetti nell’introduzione, per muoversi con successo nel mondo del mercato ci vogliono anche i nervi ben saldi e la capacità di non cedere alla superbia, il peggiore intralcio per questo tipo di affari. Proprio quella tira pessimi scherzi; gli scivoloni più clamorosi arrivano da lì.