L’Europa non teme i giochi dell’assurdo. Ieri, nove dirigenti di centro-sinistra, invitati da Hollande a Parigi per “preparare” il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno – dove dovrà essere scelto almeno il nome del prossimo presidente della Commissione e definiti i contenuti del suo mandato – hanno benedetto l’elezione di un uomo di destra, Jean-Claude Juncker, candidato senza troppo entusiasmo dal Ppe. Juncker: ex ministro e premier del paradiso fiscale lussemburghese, uomo della vecchissima Europa, che era già ai comandi all’inizio degli anni ’90, quando la Ue getto’ le basi per la moneta unica e le sue regole ferree di stabilità dei bilanci. Ma Juncker è federalista – tra l’altro, molti socialdemocratici lo sono molto meno di lui – ma è inviso al britannico David Cameron. Quindi, il nemico dei miei nemici è mio amico. Erano presenti, oltre a Renzi, i primi ministri di Austria, Danimarca, Romania, Slovaccia, Malta, Repubbica ceca e Belgio, oltre al vice-cancelliere tedesco Sigmar Gabriel e Martin Schultz, nominato alla guida del gruppo Pse all’Europarlamento. Alla riunione ha preso parte anche il primo ministro francese, Manuel Valls.

La logica è che i governi di centro-sinistra “rispettano lo spirito che ha presieduto le elezioni europee, cioè che il partito europeo che arriva in testa possa proporre il candidato prescelto, oggi Juncker”, ha spiegato Hollande.

Ma i dieci piccoli apprendisti Talleyrand hanno due idee in testa, dietro l’assurdità di un mini-vertice “social-democratico” a sostegno di un democristiano di lungo corso. La prima idea è mercanteggiare il sostegno a Juncker con contropartite in altri posti-chiave. Difatti, dovranno essere affidate altre poltrone europee di primo piano: la presidenza del Consiglio Ue, quella dell’Europarlamento e la carica di Alto rappresentante della politica estera. Per la successione di Van Rompuy corrono in molti, dalla danese Helle Thorning-Schmidt, socialdemocratica ma non invisa a Cameron, all’ex primo ministro francese Jean-Marc Ayrault, passando per l’italiano Enrico Letta (ma l’Italia ha già un incarico importante con Mario Draghi alla Bce). Hollande non vuole la danese, perché la Danimarca non è né nell’euro né in Schengen. Ma per Angela Merkel, “non non ci sono regole” precise per queste nomine. In ogni caso, Hollande, dopo aver incoronato Juncker, ha aggiunto: “ci sono altre responsabilità che possono toccare a nomi con sensibilità socialdemocratica”. Renzi e Gabriel, più diretti, hanno affermato: “speriamo che i socialdemocratici abbiano altri posti”.

L’altra idea che sta dietro la convocazione del mini-summit di Parigi da parte del prudentissimo Hollande è evitare che con il semestre di presidenza italiana Renzi parta alla riscossa da solo contro la stretta applicazione dei parametri del Fiscal Compact, facendo la parte del rinoceronte negli ovattati saloni di Bruxelles. Già Van Rompuy, a Roma, ha risposto picche alla richiesta di Renzi di avere più tempo per rientrare nei parametri: “una domanda inaccettabile per i partner europei”, per il presidente del Consiglio Ue a fine mandato, secondo il quale “solo i dirigenti europei possono cambiare le regole e le condizioni non ci sono”. Sigmar Gabriel, che aveva aperto a una maggiore flessibilità, è stato obbligato da Merkel a fare marcia indietro. Renzi, che ha incontrato Hollande in un bilaterale prima del mini-summit social-democratico, affina cosi’ l’offensiva e chiede ai dirigenti europei di leggere bene i trattati, che sono di “stabilità e crescita”: quindi è all’interno delle regole che dovranno venire cercati i margini di flessibilità, da rispettare a medio termine, ma che possono essere allentati a breve, tenendo conto dei costi delle riforme, con un ruolo importante della Bei per i finanziamenti dei programmi di rilancio “subito”, con i Project Bonds per lanciare iniziative, con l’obiettivo, voluto dalla Francia, di un pacchetto energia-clima pronto per il Consiglio europeo di ottobre.