Un nuovo «caso Tortora», una vicenda kafkiana finita, però, nel migliore dei modi. Carolina Girasole assolta «per non aver commesso il fatto e perché il fatto non sussiste». Assolto anche il marito Franco Pugliese. Condannati per il reato di turbativa d’asta Nicola e Massimo Arena, dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, a una pena di tre anni e sei mesi di reclusione. Alla lettura della sentenza, al contrario di quanto avvenuto sinora, l’ex sindaca di Isola Capo Rizzuto non era in aula, ma ha atteso la decisione del Tribunale di Crotone nello studio del suo legale, Marcello Bombardiere. Al telefono esprime tutta la sua felicità, con la pacatezza che le è propria: «È la giusta sentenza per un processo che non si doveva proprio celebrare. Fin dall’inizio, abbiamo cercato di gridare la nostra innocenza ma o ci è stato impedito da chi ha preferito correre dietro il sensazionalismo della notizia di un sindaco antimafia che scende a patti con la ‘ndrangheta. Una macchinazione costruita per infangarmi. Io ero impegnata tutti i santi giorni contro la ‘ndrangheta, abbiamo costituito cooperative antimafia, confiscato beni assegnandoli a soggetti meritevoli, in consiglio lottavamo fieri contro il potere criminale. E, d’improvviso, mi sono trovata etichettata come collusa, come colei che andava a cercare i voti delle ‘ndrine. Ma le carte parlavano chiaro e i magistrati giudicanti hanno fatto giustizia».

Una storia che mette in guardia contro i rischi del giustizialismo, della gogna mediatica. Perché alla fine l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro su informativa della Gdf di Crotone è crollato come un castello di sabbia. Gli inquirenti contestavano all’ex sindaca, referente di Libera nel crotonese, di essere stata eletta con i voti degli Arena e di averli favoriti nella raccolta di un campo di finocchi su un terreno confiscato. Quel terreno ancora oggi è gestito dalla cooperativa Terre Joniche-Libera terra, grazie proprio ai provvedimenti assunti dalla giunta Girasole.

Finisce un dramma umano e politico iniziato il 3 dicembre 2013 quando i finanzieri bussarono a casa sua per notificarle un provvedimento di arresti domiciliari emesso dal gip distrettuale Abigail Mellace. Girasole e Pugliese furono rilasciati dopo 155 giorni perché la Procura richiese il giudizio immediato. Il dibattimento ha svelato un pasticcio investigativo infarcito di scambi di persona, aggiunte, omissioni parziali. Un blob di 15 intercettazioni in cui mai si è ascoltata la voce della sindaca o del marito ma solo conversazioni tra mafiosi. E in cui mai è risultato che gli Arena avessero dato un solo voto a Girasole. Per la difesa è stata costruita in questi anni «una trappola per ostruirle la carriera politica e rovinarle la vita. Girasole – ha detto Bombardiere – si è messa contro tutti e contro tutto per stare vicina a Libera». L’arrivo di don Ciotti nella signoria ‘ndranghetista degli Arena aveva scatenato un putiferio in paese. Libera era avversata dal gruppo di potere che ruota da oltre un decennio intorno alle Misericordie, gestori del Cie/Cara Sant’Anna, e dalle cui file proviene l’attuale sindaco, Gianluca Bruno di Fi, che ha preso il posto di Girasole colpita dall’odissea giudiziaria.

«All’inizio della mia arringa – conclude il legale di Girasole – ho parlato di un dramma che se avesse un titolo sarebbe ’Sedotta e abbandonata’. Girasole è una sognatrice, sognava di cambiare le cose a Isola Capo Rizzuto. Sognatrice l’ha definita anche don Ciotti. Me lo ricordo don Ciotti quando veniva in Comune a parlare di corresponsabilità. Carolina è stata lasciata sola ad essere sbranata dai lupi. Non capiva cosa le fosse successo. Le istituzioni, quelle istituzioni che ha servito per cinque anni, l’hanno tradita per due lunghissimi anni. I giudici avevano tutte le prove per tirarla fuori da questo incubo». Ora quell’incubo è finito e Carolina Girasole si è risvegliata libera. Libera dalle mafie.