Alla vigilia di Natale, Rosario Crocetta ha capito che alle sue spalle il gioco si stava facendo duro. In un quadro politico assai ostile nei suoi confronti, soprattutto dentro la coalizione che lo ha imprigionato e sta tentando di farlo cadere, s’è insinuato un elemento per lui deflagrante: il rigurgito di restaurazione. Che ha un nome e cognome, Crocetta non esita a farlo: Totò Cuffaro. Uscito da Rebibbia dove ha scontato 5 anni per mafia, l’ex governatore, dopo un viaggio in Africa, è rientrato in grande stile rimettendo in piedi la sua macchina da guerra elettorale per l’assalto ai palazzi del potere, a partire dal comune di Palermo, dove si voterà tra tre mesi.

COME IN PASSATO quando Cuffaro fa capolino nei bar, a Palermo o a Roma, i tavolini si riempiono. «Cuffaro col suo sistema rappresenta un pericolo reale per la Sicilia: l’altra faccia della medaglia è il movimento dei 5 Stelle, fatto di conservazione e improvvisazione», avverte Crocetta. Ecco perché l’ex sindaco di Gela ha deciso di rompere gli indugi, lanciando il suo nuovo movimento Ripartesicilia per tentare la riconferma a Palazzo d’Orleans contro tutto e tutti.

Il Pd, il suo partito, continua ad annaspare nelle faide interne: il renziano Davide Faraone sta tentando nuovamente di fare cadere il governo prima della fine naturale della legislatura (novembre 2017), proprio come aveva cercato di fare un anno fa, fallendo il colpo ma costringendo il governatore a varare la quarta giunta, quella «politica» che lo ha ingabbiato. Questa volta i renziani stanno cercando di fare leva sul bilancio di previsione 2017: per due volte, grazie ai voti degli altri cespugli della maggioranza, come Sicilia Futura dell’ex ministro Totò Cardinale che flirta con i cuffariani, il Pd è riuscito a stoppare la legge di stabilità regionale, costringendo Crocetta a varare l’esercizio provvisorio di un mese e poi prorogarlo di un altro mese. «Ma so già che l’Assemblea mi costringerà a un ulteriore slittamento ad aprile», è convinto Crocetta, che è riuscito a bloccare in extremis il tentativo surreale del Consiglio di presidenza dell’Ars, guidato dal centrista Giovanni Ardizzone, di portare in aula una censura per impedirgli di andare in tv a spiegare quel che sta accadendo.

«NON HO PIÙ LA MAGGIORANZA all’Ars e a Roma non ho una rete nel Pd, perché non ho mai fatto parte di correnti, questo è il mio grande pregio ma anche il mio grande limite», ragiona Crocetta. I renziani temono che Crocetta, il governatore, incassato il bilancio, azzeri la giunta e formi un governo del presidente per arrivare a novembre, ecco perché stanno tentando in ogni modo di fermarlo. «In questo modo stanno mettendo in ginocchio la Sicilia e migliaia di lavoratori», accusa Crocetta. I Centristi per l’Europa di Gianpiero D’Alia sono con un piede fuori dal governo ma aspettano le mosse di Fausto Raciti: il segretario siciliano dem si trova a gestire ancora una volta una fase complicata per il partito spaccato e senza bussola.

Il prezzo che si vuol fare pagare a Crocetta è quello di avere destrutturato parte del sistema di potere tra mille ostacoli e senza il sostegno vero dei partiti. In 1.500 giorni ha dimezzato i costi della formazione professionale rompendo il patto scellerato tra gli enti governato da Francantonio Genovese finito in carcere, ha tagliato la spesa farmaceutica di 250 milioni con le multinazionali che giel’hanno giurata, ha risanato la sanità portandola dall’ultimo al settimo posto tra le regioni d’Italia. Ha scoperchiato il sistema Giacchetto, dal nome dell’affarista che per anni ha gestito una torta da 80 milioni sulla comunicazione foraggiando politici e lobbisti, ha licenziato precari che intascavano sussidi pur avendo condanne per mafia o familiari con redditi milionari.

CON LE SUE DENUNCE Crocetta ha aiutato la Procura di Messina a decimare la mafia dei pascoli nei Nebrodi, ha svelato i privilegi di un pezzo della classe politica siciliana che riusciva ad avere favori da funzionari infedeli di Riscossione Sicilia, la società pubblica di recupero dei tributi evasi affidata all’avvocato Antonio Fiumefreddo, che ora teme per la sua incolumità. Chi gli sta vicino gli dà il merito di avere bonificato le zone d’ombra ma di non avere saputo costruire dalle macerie, accusandolo di essersi circondato di collaboratori sbagliati e di non aver avuto un progetto ben definito fin dall’inizio. La realtà è che ogniqualvolta Crocetta ha toccato rendite di posizione o interessi come nel caso della rotazione dei burocrati, mai fatta prima, s’è ritrovato il sistema contro.

Mentre parla col manifesto, accendendo una sigaretta dietro l’altra, a Crocetta arrivano le informative delle Asp che rettificano il numero dei disabili gravissimi in Sicilia, quelli che hanno bisogno di assistenza h24: non sono 3.600 come risulta negli archivi dell’assessorato alla Famiglia, dove sono raccolti i dati trasmessi dai 55 distretti socio-sanitari dell’isola con capofila i comuni che poi affidano la gestione dei servizi alle cooperative: sono poco più della metà. Il governatore ha dovuto pure assumere la delega alla Famiglia dopo i flop inanellati da Gianluca Miccichè, imposto nella giunta politica da Gianpiero D’Alia: Miccichè s’è dovuto dimettere dopo la fuga in auto, ripresa dalle Iene, per evitare di parlare con i fratelli paraplegici Pellegrino, che lo attendevano da ore nella portineria dell’assessorato.

Il governatore oggi]è sempre più solo. E’ solo dentro al Palazzo che non l’ha mai amato, è solo dentro al Pd, il suo partito, che lo ha fatto vivere sull’ottovolante facendo spesso il gioco di chi come i 5S con tre mozioni di sfiducia ha cercato di bloccarlo. Ma è all’esterno che Crocetta coglie il rischio. «Cuffaro ha ricompattato i suoi e sta lavorando per rimettere le mani sulle istituzioni», avverte.

A PALERMO CUFFARO è riuscito a imporre a Forza Italia, e soprattutto a Gianfranco Miccichè la cui resistenza è durata quanto un battito d’ali, il sostegno del vecchio centrodestra a Fabrizio Ferrandelli, l’ex deputato regionale del Pd che si è dimesso pensando che il renziano Faraone riuscisse a fare cadere il governo Crocetta per andare al voto anticipato. Il fallimento dell’operazione ha convinto Ferrandelli a virare verso la candidatura a sindaco di Palermo, arruolando nel suo staff un nutrito gruppo di ex cuffariani: la truppa è cresciuta di mese in mese, diventando quella macchina da guerra rimessa a nuovo dopo essere rimasta in sonno per otto lunghi anni. Il termometro di questo tentativo di restaurazione lo offrono alcuni quartieri popolari della città. Dove Cuffaro si concede passeggiate serali in compagnia di qualche amico. Come ha fatto a Ballarò di recente tra i vicoli dell’anima più palpitante di Palermo: «Cinque anni fa, Ballarò ha votato per Leoluca Orlando, ma qui il sindaco ora non ci può mettere piede: siamo con Cuffaro», dicono banditori e commercianti tra le bancarelle del mercato storico.

Attorno a Cuffaro si stanno riposizionando anche politici e intellettuali che fino a poco tempo fa erano sul carro del centrosinistra. Nell’hotel del Senato, a Roma, qualche giorno fa a fare la fila nella hall dove Cuffaro riceveva nel giorno del suo compleanno c’era pure Roberto Lagalla, l’ex rettore di Palermo, a cui Faraone ha aperto le porte del Cnr, e ora è indicato come il possibile candidato dei cuffariani alla presidenza della Regione, magari con alleanze trasversali nel segno della restaurazione.