Ministeri, presidenze delle camere, poltrone, poltroncine e persino sgabelli: sembra che alla vigilia della prima vera prova, l’elezione del presidente del Senato che Giorgia Meloni vuole subito, sin dalla prima votazione domani pomeriggio, tutto giri intorno a quel gioco di incastri che è da sempre la formazione di un governo di coalizione. Un po’ è davvero così ma meno di quanto non appaia. Il braccio di ferro è politico, è sulla natura del governo, se davvero politico o a metà strada con un esecutivo tecnico.

SILVIO BERLUSCONI e Matteo Salvini, che ieri si sono incontrati per mezz’ora a villa Grande, concordano in una allarmata diagnosi: la futura premier sta cercando di trasformare il governo politico della destra in una sorta di riedizione del governo Draghi. Non è quello a cui pensano gli alleati di FdI. Si mettono di mezzo, creano problemi a ripetizione. Dopo il caso Ronzulli, forse risolto assegnando alla fedelissima del Cavaliere il Turismo ma non è ancora detto, è il turno della presidenza del Senato. Nell’organigramma della Sorella spetta a Ignazio La Russa, anche perché in caso contrario reclamerebbe la Difesa riportando le lancette indietro di parecchi giorni. Salvini s’impunta, per la Lega vuole il Senato con Roberto Calderoli, non la Camera con Riccardo Molinari.

È TRATTATIVA MA È ANCHE guerriglia sul dna del governo e che sia questa una parte essenziale della posta in gioco lo si capisce quando, del tutto a freddo, la leader tricolore se ne esce con una dichiarazione incomprensibile se non come risposta alle critiche e all’assedio degli alleati: «I governi sono politici quando hanno un mandato popolare, una guida politica e una maggioranza nata nelle urne, un programma e una visione ben chiari. Proprio per realizzare visione e programma coinvolgeremo le persone più adatte». È la formula double face alla quale Meloni lavora dalla notte delle elezioni: orizzonte politico ma nell’immediato tecnici in grado di dare il meglio contro la crisi.

PROBABILMENTE È una scelta obbligata. Ieri mattina la futura premier ha incontrato il ministro dell’Economia uscente Daniele Franco e i due hanno parlato della legge di bilancio: non sarà una passeggiata. Ieri è arrivata la doccia fredda del Fmi: la recessione è dietro l’angolo, colpirà nel 2023 ma l’anno successivo sarà peggio. L’insistenza per un governo nel quale sia ben visibile anche e soprattutto all’estero il marchio di Mario Draghi e del suo metodo, ben più decisivo di qualsiasi agenda, nasce da qui, dalla spinta delle cose. Salvini e Berlusconi però non hanno alcuna intenzione di accettare l’annacquamento, sia pure in una prima fase, dei connotati politici del governo. Adoperano la trattativa su ministeri e presidenze per trasformare nei fatti il disegno della futura premier.

RISOLTASI INFINE a prendere atto della indisponibilità di Fabio Panetta per l’Economia, Meloni, che pur giovane è politica di lungo corso, ha capito presto che un ministro politico forte è meglio di un tecnico di ripiego e l’unico in campo è Giancarlo Giorgetti. Così è stata proprio lei a proporlo, non Salvini. La Lega non si oppone: «Onoratissimi!». Però lo si dovrà considerare alla stregua di un ministro tecnico, insomma i quattro ministeri sui quali Salvini ha messo gli occhi, Sviluppo economico, Infrastrutture, Agricoltura e Riforme, non si toccano. Più naturalmente il Viminale: a un tecnico, sì, ma gradito al Carroccio come il prefetto ed ex capo di gabinetto di Salvini, Matteo Piantedosi. Basta così? Non è detto perché per mollare palazzo Madama sembra che il Capitano voglia un altro dicastero.

BERLUSCONI FA LA SUA parte. Il braccio di ferro su Licia Ronzulli farà sì che la candidata che Giorgia Meloni voleva fuori dalla squadra invece entri al governo, ma è servito anche a sgombrare la strada per la Giustizia, con la presidente uscente del Senato Elisabetta Casellati, considerata dal Cavaliere una fedelissima, oppure con Francesco Paolo Sisto. E Antonio Tajani, anche se ieri qualche dubbio ancora circolava, dovrebbe entrare a vele spiegate agli Esteri al posto della tecnica Elisabetta Belloni.

La partita finale si giocherà nelle prossime ore. Salvini reclama un vertice a tre che potrebbe essere convocato già oggi ma più probabilmente domani. Dall’esito dell’incontro, o dello scontro, dipenderà la natura stessa del governo.