Il capo dei Servizi segreti della Libia orientale è stato assassinato a Bengasi. Il colonnello Ibrahim al Senussi Akila è stato ucciso da colpi di arma da fuoco, mentre guidava la sua autovettura, a due passi dall’ospedale nel cuore di Bengasi, giovedì sera. Nel dicembre scorso, anche il capo dell’Intelligence militare di Bengasi era stato assassinato a Derna.

L’agguato non è stato rivendicato, ma le autorità libiche ne attribuiscono le responsabilità a estremisti islamici. L’omicidio eccellente è arrivato a pochi giorni dalla conferma che i ribelli non rispetteranno gli accordi petroliferi con le autorità libiche. I separatisti della Cirenaica hanno stracciato infatti l’accordo sulla riattivazione dei terminal petroliferi orientali, siglato ad aprile dall’ex premier pro tempore.

Abdallah al Thinni, prima di rinunciare all’incarico per un attentato che ha colpito la sua famiglia, aveva raggiunto un accordo preliminare per la riapertura di quattro porti petroliferi nell’est della Libia. Solo due, Hariga e Zueitina, sono stati consegnati alle autorità. Le parti avevano in programma ulteriori negoziati per la riapertura dei due terminal principali: Ras Lanuf ed el Sider.

L’accordo petrolifero è saltato prima di tutto perché i ribelli non riconoscono l’autorità del nuovo premier. Il portavoce dei separatisti, Ali Hasi ha definito «illegale» la nomina da parte del parlamento, la scorsa domenica, di Ahmed Maiteg. In verità, la validità del voto è stata contestata da vari parlamentari. Il vicepresidente del parlamento libico, Ezzeddine al Awam aveva dichiarato non valida l’elezione di Maiteg, per un errore nel conteggio dei voti. Maitig avrebbe ottenuto 113 preferenze, a fronte delle 120 necessarie. Anche l’ex premier Ali Zeidan, sfiduciato dal parlamento in seguito alla vendita illegale di petrolio da parte dei ribelli al cargo nordcoreano Morning Glory lo scorso marzo, aveva denunciato irregolarità nelle operazioni di voto prima di lasciare il paese, diretto in Germania.

Il braccio di ferro tra parlamento ed esecutivo, si è concluso con la nomina di Maiteg, 42 anni di Misurata. Nel discorso di insediamento, il premier ha annunciato l’intenzione di formare un «governo di emergenza»: il quarto dopo la violenta uccisione del colonnello Muammar Gheddafi nell’autunno del 2011. Maiteg, che ha due settimane per formare il nuovo esecutivo, ha sottolineato la necessità che ritorni la sovranità dello stato sull’intero territorio libico, di creare istituzioni militari e di polizia, di rafforzare il sistema giuridico, avviare il decentramento amministrativo e un processo di riconciliazione nazionale. Il premier libico, uomo d’affari, appoggiato dai Fratelli musulmani, dovrà affrontare la questione delle milizie armate e dei gruppi secessionisti, attivi nell’est del paese.

La scorsa settimana, un gruppo di uomini armati aveva assaltato il parlamento costringendo i deputati alla sospensione delle votazioni per la nomina del nuovo premier su una rosa di sette candidati.

Ma le violenze non si placano neppure a Tripoli. Ieri è stato assaltato l’archivio cinematografico della capitale libica. Il prezioso contenuto è stato trafugato da uomini armati, come ha confermato il ministro della cultura, Habib Al Amin. Infine, numerose associazioni per i diritti umani hanno denunciato gravi irregolarità nel processo in corso contro il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, detenuto da 29 mesi in una località segreta. In particolare, Amnesty International lo ha definito un processo «farsa». Il tribunale aveva ordinato che l’imputato assistesse alle udienze via video-link perché le milizie di Zintan si sono rifiutate di consegnarlo alle autorità libiche.