Ieri un gruppo armato ha assaltato tre autobus di egiziani copti che lasciavano il monastero di San Samuele il Confessore, a Minya, nell’Alto Egitto. La dinamica è identica al massacro di maggio 2017: nello stesso luogo miliziani aprirono il fuoco su bus con a bordo pellegrini copti, provocando 28 morti poi rivendicati dal braccio locale dell’Isis.

Stavolta le vittime sono sette, 19 i feriti, secondo la Chiesa copta ortodossa egiziana, che però con l’Ap si dice certa che il bilancio crescerà. Puntuale la rivendicazione dello Stato Islamico. Le prime testimonianze raccontano l’assalto: i primi due bus sono stati centrati dal fuoco dei miliziani, il terzo è fuggito.

Sembra non avere fine la scia di massacri contro i copti egiziani, tra il 10 e il 15% della popolazione (è la più grande comunità cristiana nel mondo arabo), da anni nel mirino di gruppi islamisti radicali. Colpite chiese, villaggi, pellegrinaggi con il governo del Cairo incapace di garantire un minimo di sicurezza: lo scorso dicembre a essere macchiato di sangue fu il natale copto (11 morti al Cairo), ad aprile 2017 la domenica delle palme (43 uccisi in due attentati kamikaze contro chiese ad Alessandria e Tanta). Una violenza che ha spinto alla fuga dalle zone di origine moltissimi cristiani che denunciano omicidi e minacce da parte di milizie radicali.

Eppure la comunità copta ha sempre mostrato fedeltà ai vari regimi che si sono succeduti in Egitto: se durante la rivoluzione di piazza Tahrir, furono moltissimi i copti che aderirono entusiasti alla sollevazione contro Mubarak (come racconta nel suo ultimo romanzo, Sono corso verso il Nilo, Alaa Al-Aswany), i vertici delle diverse chiese copte ma anche gran parte dei loro affiliati vedono nelle autorità centrali una garanzia di sicurezza. Che oggi è pressoché inesistente, nonostante Il Cairo spacci la libertidica legge anti-terrorismo del 2013 (in realtà lo strumento per silenziare le opposizioni) come la soluzione a ogni male, dalla capitale alla brutalizzata penisola del Sinai, da febbraio quasi del tutto inaccessibile a causa dell’operazione militare anti-islamista in corso.

Ieri il presidente al-Sisi è intervenuto a stretto giro dall’attentato: «Piango i martiri uccisi da mani infide che tentano di minare il paese», ribadendo la «determinazione» del paese contro il terrorismo.