Nel sanguinoso Corno d’ Africa, attraversato da violenze etniche, terrorismo islamico e lotte interminabili, il rinomato fotografo milanese Pino Ninfa, specializzato nella scena jazz, è andato nella “piccola Roma”, Asmara, la capitale dell’ Eritrea, dichiarata patrimonio mondiale dell’Umanità per la sua architettura modernista, eredità del colonialismo italico. Proprio alla vecchia stazione ferroviaria, edificata a inizio secolo, ampiamente in rovina per le ferite della guerra civile e per l’incuria degli ultimi decenni, lavora tutte le mattine Tekle Mandar, capelli bianchi e volto segnato dal tempo, in tuta malandata da officina, indossata con orgoglio, a riparare accumulatori, rotaie, scambi. Da tanto tempo i treni non partono più da lì, binari e saloni in completa rovina. Il tragitto verso il mare, da Asmara a Massawa, lo sbocco sul Mar Rosso, è lungo 117 chilometri, si compiva in 6 ore (ma ampi tratti di strada ferrata sono ancora interrotti, sepolti da macerie e detriti) con un dislivello di 2400 metri, percorso dalle nere locomotive a vapore marcate Breda o Ansaldo. Viene definito uno dei più belli del mondo con ponti, viadotti, gallerie costruite da ingegneri e architetti arrivati all’epoca dell’espansionismo fascista. Oggi alcuni brevi tratti sono appannaggio dei turisti, trainati dalla littorina, con soste in alcuni piccoli centri. Alcune foto del binario unico che s’inerpica in un paesaggio montanaro semidesertico ricorderanno le vignette degli Scorpioni del Deserto, immaginati e disegnati da Hugo Pratt, con le loro follie del colonialismo.

Da qualche mese è stato pubblicato il libro fotografico Breve sogno eritreo di Tekle Mandar, autoprodotto dall’autore (pag. 142, euro 50, acquistabile sul suo sito www.pinoninfa.it o alla libreria Hoepli di Milano), un “taccuino di viaggio” con un centinaio di corpose foto in bianco e nero (e alcune note scritte) che si susseguono a raccontare questo pezzo d’Africa dal respiro nostrano. Impegnato in diversi progetti solidali e ambientali, Ninfa ha seguito Mandar nelle sue mappe cittadine, non quelle razionali e squadrate d’anteguerra, quanto quelle oniriche e fantasiose che lo aiutano a ricordare eventi passati mantenendo vivi i suoi ricordi. Inseguendo l’uso dei segni sui muri della città, numeri e scritte, le tracce preferite per la sua scarsa memoria. Aggirandosi per le strade secondarie, costruzioni diroccate e baracche con finestre sfondate, Ninfa e Mandar descrivono un’altra Asmara, diversa da quella ordinata e accattivante che vuole puntare sul turismo (tre anni fa, seguendo la foto di un nonno, Lorenzo Jovanotti è venuto alcuni giorni in città per girare il videoclip di Chiaro di luna, carico delle vestigia nostrane tra negozi, monumenti e fabbriche), sul fascino di città giovane, carica di storia, intrisa di cultura italiana (dalla lingua al cibo) e proiettata verso il futuro (nonostante il regime dittatoriale del presidente Afewerki, al potere da trenta anni).

Tekle Mandar è la sua guida, il Virgilio che l’accompagna a scoprire i quartieri della città, i negozi antichi, i bar, le donne coi vestiti tradizionali, i bambini che giocano per strada. “La nostra meta giornaliera la pianificavamo al bar – scrive Ninfa – Mi trovavo nella stessa atmosfera vissuta con i musicisti mentre facevano la scaletta dei brani e decidevano cosa suonare”. Ci sono atmosfere e strade da città di provincia italiana anni ’50, ci sono dovunque testimonianze della nostra cultura, tra il superbo Cinema Impero e l’ampio Teatro Odeon, quello dove il giovane Renato Carosone imparò gli standard americani, durante la guerra, suonando il pianoforte, per soldati e commercianti di passaggio, mischiando ritmi diversi con la consueta allegria. Cercando tra piantine topografiche, fotografie e cartoline dell’Africa Orientale italiana, si può ritrovare persino un motivetto umoristico, Asmarina, scritta e cantata da Pippo Maugeri, che fu presentata al concorso per la canzone del 1956 ed esaltava il fascino muliebre delle sue giovani abitanti. ”Non so se ti chiami Ciccirilli o Zazzà/sei nata in Asmara e sei un fior di beltà/ Fanciulla asmarina sei più bella per me/ e ogni giorno alle tre suono e canto perché/mi ricordo di te / Asmarina, asmarina/ di bellezza sei regina/a vederti da lontano/mi casca quello che ho in mano” (facilmente ascoltabile su Youtube). Negli anni ’80 un famoso cantante, Wedi Shawl, l’ha cantata in tigrino cambiando completamente il senso della canzone, dedicandola ad Asmara, alla sua città non ancora liberata durante il conflitto con l’Etiopia, un brano popolare anche tra gli immigrati europei, con una profonda nostalgia per la loro città, dove molti non possono più tornare perché oppositori di uno dei più autoritari regimi dell’Africa.

Ad ogni angolo segnali d’incuria, baracche lasciate al degrado con finestre sfondate, mobili in pessime condizioni, una polverosa strada in terra battuta dove spunta un’antenna parabolica. La povertà di lavoratori dell’edilizia con carriole e sacchi, il fantastico mercato di Medebar, coi fabbri e i falegnami, dove alcuni operai fanno scintille battendo le lamiere, il posto dove si può riciclare ogni oggetto, dalle ceste agli abiti e tantissime apparecchiature elettriche. Poi qualche istantanea nei mercati del ferro e del sale, in una stanza in cui si mescolano le spezie per il berberè, davanti a un cimitero di veicoli di un conflitto armato, cingolati e camion, abbandonati e lasciati arrugginire diventando così un tacito monumento contro la guerra. Donne giovani vestite chiaro con abiti larghi, bambini che giocano, avventori ai tavolini di un bar. Nelle immagini traspare la dignità e la voglia di vivere di un popolo, vessato da un governo poliziesco, che ha dovuto superare tante ingiustizie e sofferenze, con una quota di giovani destinati a emigrare che sperano di arrivare, prima o poi, in Europa.

“Tekle ha poi voluto che lo accompagnassi a Massawa, punto di sbocco nevralgico sull’Oceano Indiano e città dove lui ha vissuto molti anni – scrive ancora Ninfa – I suoi abitanti nella desolante povertà attuale ne conservano fattezze e sorrisi e sono testimoni silenti che la guerra non riuscirà mai a sconfiggere la loro bellezza”. Così scorrono il portone di un palazzo crivellato dai colpi di mortaio, alcuni lavoratori sui cammelli, la funzione domenicale a Ende Mariam (in Eritrea le due religioni prevalenti sono l’islam sunnita e la chiesa ortodossa eritrea ), “canti e preghiere cullano i pellegrini e li trasportano verso l’altissimo al di là delle nuvole, verso qualcosa che nessuno conosce veramente”, oltre l’orizzonte di un territorio malandato. Per Tekle Mandar, i sogni si possono realizzare anche guardando un binario vuoto, meditabondo su una sedia, volando semplicemente con la fantasia.