Davvero geniale è il racconto che Ascanio Celestini fa delle sue Barzellette (al Vittoria fino al 17 novembre per Romaeuropa Festival). Nascono da un libro, dal titolo omonimo, uscito da Einaudi la scorsa primavera, simile nel percorso e nel contenuto. Ma dal vivo la forza comunicativa di un artista come Ascanio, è talmente forte, modulata, davvero fisica, che allo spettatore può sembrare di non conoscerle già, quelle situazioni, quegli ambienti, quelle assonanze, perfino il finale «sconcio» di molte avventure, la consapevolezza «romanesca» del commento o della battuta finale che si fa universale morale di vita quotidiana, e di pensiero per niente superficiale. La voce, i suoni, le sospensioni, le stesse artate «esitazioni», sono strumenti di teatro e di comunicazione tanto efficaci nel suo raccontare, da rendere le più astruse situazioni specchio deformato quanto veritiero, della nostra morale quotidiana.

NON C’È bisogno di rivendicare o ripercorrere le ascendenze «illustri» della barzelletta, la sua storia e il suo uso in tanta e nobile letteratura. Qui funziona, attraverso le barzellette più sdate, e magari conosciute, come una grande ricostruzione del mondo. Dei suoi valori e dei suoi abbagli, delle sue sicumere e della nostra inadeguatezza a farci carico di tutto questo. Con la grazia abituale, quella «innocenza» che nasce da un pensiero e da valori profondi, Celestini racconta, riflette, costruisce la battuta, dialogando con la sua voce musicale, ovvero Gianluca Casadei, abituale partner di scena, lui sì impassibile anche se consapevole e complice, mentre passa dalla chitarra alle tastiere.

I PERSONAGGI protagonisti di quelle «storielle», dal ferroviere narrante (che viaggia senza soste non tanto nella carriera professionale, ma sui binari senza fine (e senza badare alle fermate in stazione della vita, sua e degli altri), alla monaca repressa ma non troppo, al prete stolto quanto altrettanto rapace, ai classici carabinieri eroi della propria dabbenaggine, sono elementi drammaturgici invulnerabili, ma la morale è tutta dell’artista, e dello spettatore che entra nel gioco. Non importa sapere come va a finire, quasi sempre si sa già. Si ride quasi soprattutto per confermarne la condivisione. L’importante è capire quanto drammaticamente quelle storielle possano essere la chiave della verità, il risultato dei nostri pregiudizi, ma anche la libertà di poter affermare, in quei paradossi, una visione e comprensione profonda del mondo. E questo è un risultato sicuramente raggiunto.