Aggiusta il ciuffo imbiancato, focalizza lo sguardo e non recita: «Dopo 20 anni, faccio ancora Radio Clandestina con le mie quattro lampadine…».Ascanio Celestini, 48 anni, dalla periferia di Casal Morena è entrato nell’occhio di bue dell’arte narrativa. Seduto sulla panchina del parco di villa Concina a Dolo, sta per replicare lo spettacolo sulla strage delle Fosse Ardeatine che la sera prima il meteo aveva spostato all’interno del Teatro Italia.

Nella Riviera del Brenta, l’associazione Echidna (che in Veneto fino al 20 settembre ha allestito la rassegna «Centorizzonti» fra Asolo, Pieve del Grappa, Riese Pio X, Possagno, Fonte e Maser) si è ostinata ad alzare il sipario. Come chiosa l’assessore alla cultura di Dolo, Matteo Bellomo: «La speranza di poter garantire, in questa estate così difficile, il giusto spazio alla cultura si è concretizzata con un ciclo di incontri letterari e il concerto jazz per il recupero delle antiche Conche nell’ansa del fiume».

Ma grazie ad Ascanio Celestini bisogna rileggere il copione della pandemia, vera tragedia per il teatro italiano che rischia il… bis nella tradizionale stagione autunno-inverno.
Artisti e lavoratori, promotori e istituzioni sono rimasti paralizzati dall’inagibilità. E il sostegno economico ha amplificato la crisi: «Sono stati erogati fondi per pagare 600 euro al mese per tre mesi (marzo, aprile, maggio) anche i lavoratori dello spettacolo. I parametri erano: un reddito 2019 inferiore ai 35 mila euro, ma con almeno sette giornate lavorative. Al minimo sindacale significa circa 500 euro. Ecco, fra 500 e i 35 mila mi sembra uno specchio piuttosto ampio. Comunque, tecnicamente ha preso 600 euro per tre mesi (netti, esentasse) anche chi quando non lavora ne prende 500 in un anno…» puntualizza Celestini.

Una regìa politica fallimentare. Lo dimostra senza appello la «pecora nera» nel gregge dell’emergenza: «L’evento scandaloso consiste nel fatto che non è pensabile definire lavoratore professionista dello spettacolo chi guadagna 500 euro all’anno. È una cifra più che abbondantemente sotto la soglia della povertà, cioè 500 euro… al mese. Quindi è evidente come siano stati erogati a chi veramente va per i cartoni, vive per strada, di elemosina, gente che se mai ha bisogno dell’assistenza sociale totale. Oppure a chi i soldi li ha già, una piaga di questo settore del «mercato del lavoro»: non c’è niente di male ad essere ricchi, anzi tutti vorremmo essere ricchi di famiglia. Il punto è che se tu sei ricco e lavori gratis, rubi il lavoro a chi ha bisogno di guadagnare. Oppure, l’altra piaga ancora più importante: lavorare in nero. Chi percepisce 500, 1000, 1500, 2000 euro all’anno evidentemente se ci campa (magari con una famiglia) incassa in nero».

Cosa avrebbe dovuto, invece, mettere in campo il governo Conte? Celestini risponde senza diplomazia: «Avrebbe già dovuto conoscere la situazione. Ma mettiamo che non la conoscesse. A questo punto diventava palese, perché inizialmente aveva detto che i 600 euro sarebbero stati dati a quelli che avevano fatto un minimo di 30 giornate lavorative. E c’è stata una sommossa. Così il ministro Franceschini, prima ancora della task force, avrebbe dovuto dire: «Qui c’è un problema serio che adesso risolviamo dando l’elemosina» (perché questo è stato). Invece, non è stato risolto niente: non ci hanno neanche provato. Per l’ennesima volta, è stata messa la polvere sotto il tappeto».

Nemmeno l’estate ha indotto un cambio di scena. Anzi. «Hai dato l’elemosina per far sopravvivere le persone? Bene. Gliel’hai data pensando che c’è qualcosa che non funziona e va risolto? Va bene, non importa. Per usare la metafora della guerra: si regala il pane alla gente per strada. Ma quando si è potuto riaprire, il governo avrebbe dovuto dire subito: mille spettacoli al giorno in ogni cortile, in ogni spazio, in ogni area pedonale. Facciamo lavorare il più possibile gli artisti. Invece, le persone – indirettamente, dal governo – sono state riportate fuori dalle loro abitazioni verso pub, ristoranti, discoteche. Cioè proprio lì dove non è rispettato il distanziamento. Una politica assurda. Meglio: inspiegabile, anche e livello economico».

Celestini conclude il ragionamento a voce alta. Rilancia l’idea di un vero e proprio «Piano regolatore culturale» che finalmente definisca domanda, bisogni e produzione nei territori: «Altrimenti, si danno risposte a caso. O, peggio, non se ne danno. Punto e basta».
E il teatro ai tempi della pandemia? «Le persone non possono stare vicine: distanziamento sociale, fisico umano. Come si vuole chiamarlo, significa sempre l’obbligo di almeno un metro di distanza. In estate, all’aperto, il problema si risolve da solo. Con la prescrizione dell’igiene: varechina e acqua ossigenata. Ma i teatri non sono stati pensati e costruiti per far stare lontana la gente. Anzi, fin dall’ingresso in sala gli spettatori sono vicini. E nel palcoscenico artisti e lavoratori dello spettacolo danno il meglio quando sono… affiatati».