Maledetto Arvo Pärt! Non nel senso del maudit ottocentesco o novecentesco o di tutti i tempi, eversore, tormentato, provocatorio, nemico della società, no no, dio ce ne guardi, lui è tutto tranne che così. Si diceva maledetto perché lo si vorrebbe tanto tenere legato a un modo di far musica che decenni addietro lo rendeva più vicino al tempo presente, in particolare a una corrente musicale, il minimalismo, con cui lo si vedeva giocare alla sua maniera, quieta, leggera, un po’ arcaica, mistica, ma tanto contemporanea. Il Pärt di Fratres o di Tabula rasa, insomma. Invece lui è andato per altre strade – pur mantenendo una memoria, qualche traccia, vaghe reminiscenze, di quello stile – e ha accentuato il liturgico nelle sue opere. Ha drammatizzato e post-romanticizzato gli itinerari delle sue composizioni, come, per esempio, in quel Miserere che è stato inserito nell’Adam’s Passion teatrale ideato con Bob Wilson (o da Bob Wilson?). Però c’è un «nuovo» Pärt, quello penultima e ultima maniera, che continuando a frequentare il sacro, anzi il religioso, ci arriva sommesso (come in fondo lui aveva tanto amato essere), dolcemente evocativo del passato magari gregoriano, e leggero, arioso, dentro nel nostro quotidiano riflessivo. Un Arvo Pärt che c’è sempre stato, intendiamoci, ma che selezionato da Manfred Eicher per un ulteriore album Ecm (Tractus) mostra il suo tratto più colloquiale e in definitiva più contemporaneo. Nel brano d’apertura, Littlemore Tractus per coro misto e orchestra d’archi, accende speranze ormai dimenticate perché riprende proprio la modalità minimalista e nella parte di coro fa persino venire in mente l’incipit di Einstein on the Beach, celebre opera di Philip Glass. È solo un momento, un episodio datato 2000/2022 con la particolarità di un arrangiamento fatto da Tõnu Kaljuste, il direttore in tutto l’album della Tallinn Chamber Orchestra e dell’Estonian Philharmonic Chamber Choir. Poi si susseguono brani per orchestra d’archi e brani per coro e orchestra d’archi, con l’eccezione di L’abbé Agathon (2004/2008) che è scritto per soprano e orchestra d’archi ed è un affascinante, liricissimo eppur misurato brano che la vocalista Maria Listra interpreta mirabilmente. Ma il momento più perturbante è quando si ascoltano i 3 minuti e 58 secondi di Sequentia, il lavoro più recente (2014/2015) per orchestra d’archi e percussioni, anch’esso inserito in Adam’s Passion. Qui ci sono i suoni quasi tecnologici di tanta avanguardia, c’è l’attrazione fatale per l’atonalismo, c’è insomma il Pärt più «radicale» che si possa immaginare.