Karim D. è un giovane scrittore di origine algerina, proveniente dalla banlieue parigina, autore del libro Lo sbarco, opera prima diventata all’istante un caso editoriale. Interviste televisive, mondo della rete unanime nell’affermare che una stella è nata. E poi, una sontuosa festa borghese a siglare la definitiva accoglienza, selfie a ritmo vertiginoso, una scrittrice fuori dal coro che lo mette in guardia dall’ubriacatura da celebrità e, infine, una produttrice che gli chiede non solo i diritti del romanzo ma anche l’impegno a trasformarsi in regista della prossima trasposizione cinematografica. È la follia di un treno in corsa con molti passeggeri e nemmeno un macchinista. L’ipotesi che il mezzo a gran velocità possa deragliare o sbattere contro un altro treno, pare destare poco interesse. E nel caso di Karim D., l’altra locomotiva che procede sul medesimo binario, ma in direzione opposta, esiste e ha il nome di Arthur Rambo, il blogger da duecentomila follower che esprime opinioni rigorosamente ripugnanti su ogni questione politica e sociale.

LO SCONTRO è inevitabile, soprattutto perché Arthur Rambo è Karim D.: il mite scrittore che racconta di sua madre e si fa rappresentante di un intero popolo di persone arrivate in Francia, coincide con l’incendiario blogger che insulta donne, omosessuali, ebrei e che si lascia andare a commenti brutali su qualsiasi tema internazionale. E se le due identità possono convivere in un sol uomo per i motivi più disparati, i follower dell’uno e dell’altro sono inconciliabili. Non esiste la via di mezzo, la mediazione, il dialogo, la spiegazione. Regnano sovrani la reazione violenta, il comunicato salva-faccia, l’autocensura, la redenzione senza perdono.
Laurent Cantet con Arthur Rambo – Il blogger maledetto, film ispirato alla storia di Mehdi Meklat e a quella del suo alter ego Marcelin Deschamps, restituisce il senso di un mondo svuotato di ogni contenuto, affidandosi a pochi ma efficaci tratteggi. Se non fosse stato già usato, il regista francese avrebbe potuto intitolare il suo nuovo lavoro «Tutto in una notte», non tanto come omaggio a John Landis e allo spirito d’avventura che può impossessarsi anche della persona più depressa al mondo, bensì per quell’andamento sussultorio ed effimero delle relazioni che nel giro di pochi attimi possono essere travolte da un’improvvisa scossa e assumere forme inattese.

Non ha importanza cosa racconti Karim D. nel suo libro e cosa esprima Arthur Rambo nei suoi tweet. In un vorticoso girare a vuoto di pensieri, parole, idee, quello che conta sono gli schieramenti, i posizionamenti, le ideologie che erano morte e che ora prendono le sembianze di comode etichette utili a raggruppare persone in spazi angusti. Karim D. è l’eletto di quella sinistra che pretende un linguaggio, che sostiene un autore a patto che aderisca a determinati principi, che sia digeribile prima ancora di essere masticato. Ed è parimenti, se così si può dire, l’eletto della destra, perché in negativo è un facile bersaglio sui cui costruire becere propagande.

ARTHUR RAMBO è in modo speculare il perfetto negativo di Karim D., e non importa che molti degli amici dello scrittore oltre a essere a conoscenza di quello che postava il blogger, erano dei veri e propri complici che si nutrivano di quell’inebriante popolarità. Tutto ha una logica se è funzionale alla posizione che si vuole prendere o contrastare. Il libro, i tweet, sono strumenti che al momento opportuno servono per attaccare terze persone, la presenza dell’autore è facoltativa. Antisemitismo, omofobia, razzismo, sono ridotte a parole da usare per i tag, per produrre follower, per indirizzare una moltitudine nei recinti di un gruppo.
Tutto ciò salva o condanna la figura di Karim D./Arthur Rambo? A questa domanda, fortunatamente, Cantet non dà alcuna risposta. E non sta nemmeno a noi spettatori fornirle. Sarebbe semplice pretendere le abiure, soprattutto da parte di chi per nascita ha avuto l’occasione di stare nel mezzo senza doversi sentire sempre in bilico, tra l’oblio del silenzio e l’espulsione senza appello. E sarebbe altrettanto facile appoggiare la rabbia di chi, emarginato, è chiamato come unico imputato nel tribunale dei bei pensieri.