Fin dall’inizio del percorso espositivo, la mostra Degenerate Art The Attack on Modern Art in Nazi Germany, 1937 (alla Neue Galerie di New York fino al 30 giugno; catalogo a cura di Olaf Peters, Prestel Verlag, pp. 320, $ 60) pone al visitatore un interrogativo: in che modo l’attacco nazista all’arte moderna ha contribuito a creare il contesto ideologico e propagandistico che ha reso possibile la Shoah?
La risposta che viene da questa mostra è chiara: prima furono eliminate le opere – artistiche, ma anche musicali e letterarie – poi gli uomini. Lo sterminio fu l’esito estremo, ma coerente, della politica messa in atto da Hitler e dal regime nazista a partire dal 1933 per estirpare dalla società tedesca tutte le istanze e le presenze (peraltro non solo «ebraiche») ritenute indesiderate e «nocive».

Il messaggio è sintetizzato nelle due gigantografie che campeggiano nel corridoio di accesso alle sale che ospitano la mostra; entrambe le immagini raffigurano persone in fila: da un lato, una folla incolonnata in attesa di entrare nell’edificio che nel 1938 ad Amburgo ospitò la versione itinerante della mostra dedicata a quella che il regime nazista bollò come arte «degenerata»; su quello opposto, un gruppo di ebrei dell’Est Europa appena giunti ad Auschwitz nel 1944, in attesa della selezione per i lavori forzati o i forni crematori.
La mostra newyorkese è la più importante organizzata negli Stati Uniti sul tema dell’attacco nazista alle correnti artistiche più innovative del Novecento (Espressionismo, Cubismo, Surrealismo, Dadaismo, Nuova Oggettività, Bauhaus), dopo quella del Los Angeles County Museum of Art realizzata da Stephanie Barron nel 1991. La grande e interessante differenza è che qui sono esposte – oltre alle opere degli artisti messi al bando – anche dipinti e sculture imposti, invece, dal regime hitleriano come canone artistico ufficiale. Fra questi, spicca il trittico prediletto da Hitler, che lo teneva sul caminetto della sua casa a Monaco: I quattro elementi di Adolf Ziegler – un’algida rappresentazione allegorica (attraverso quattro nudi femminili) degli elementi naturalistici fondamentali (fuoco, terra, acqua, aria). L’autore era professore all’Accademia di Belle arti di Monaco e dal 1936 al 1943 fu presidente della Reichskammer der bildenden Künste; ma nel 1943 cadde in disgrazia, fu privato delle sue cariche, arrestato e per alcune settimane detenuto a Dachau.

L’offensiva contro l’arte moderna e i suoi esponenti (ebrei e non ebrei) iniziò subito dopo la presa del potere da parte di Hitler nel 1933. Ma la contrapposizione tra l’arte «ortodossa» e quella censurata raggiunse l’apice propagandistico nell’estate del 1937: il 18 luglio, a Monaco, Hitler in persona inaugurò la prima grande mostra annuale dell’arte tedesca nella nuovissima e monumentale Haus der Deutschen Kunst, con un discorso in cui riaffermò, dopo averlo scritto nel Mein Kampf, la necessità di condurre una «guerra spietata di risanamento» contro gli elementi disgregatori in ambito culturale. Il giorno dopo, il 19 luglio, in una sede poco distante ma molto più modesta (alcune sale dell’Istituto archeologico), aprì i battenti proprio la contro-mostra sull’arte «degenerata». Ideata dal ministro della Propaganda Joseph Goebbels (che pure in precedenza aveva apprezzato artisti come Ernst Barlach ed Emil Nolde, nel 1937 colpiti dalla censura del regime), quest’ultima fu concepita come «uno spettacolo politico» – per usare la definizione del critico Neil Levi – volto a ridicolizzare i maggiori rappresentanti dell’arte contemporanea, dimostrare la loro estraneità all’autentico spirito tedesco e denunciare l’incompatibilità della loro visione artistica rispetto al modello nazista di uomo e di società.

Tra l’altro, a Monaco, culla del nazismo, nel novembre dello stesso 1937 fu inaugurata anche un’altra mostra, Der ewige Jude (L’eterno ebreo), da cui poi fu ripreso il titolo del famigerato film (1940), diretto da Fritz Hippler sotto la supervisione di Goebbels: del film, la Neue Galerie ripropone la sequenza riguardante l’arte e la sua presunta «degenerazione» sotto l’influsso ebraico.

Nella violenta requisitoria con cui inaugurò la mostra-gogna, Ziegler (che in qualità di consigliere artistico del Führer partecipò attivamente alla selezione e alla confisca delle opere) bollò quelle esposte come «spazzatura» (Schund) di matrice giudaica e bolscevica, frutto di menti folli e malate, in grado di suscitare solo disgusto – concetto ribadito dal Führer nel suo discorso inaugurale alla Haus der Deutschen Kunst. Hitler stesso visitò la contro-mostra il 16 luglio, prima che venisse aperta al pubblico; il «Völkischer Beobachter» pubblicò la sua foto, insieme a Goebbels e altri gerarchi, di fronte alla parete sulla quale erano esposte al ludibrio pubblico i quadri dei dadaisti.

Ziegler affermò che la mostra era gratuita, per invitare i tedeschi a guardare e a «giudicare da soli» la qualità artistica delle opere esposte. Naturalmente, si trattava di una finzione propagandistica, perché l’allestimento era studiato come una lente deformante: le opere erano affastellate l’una accanto all’altra, alcune addirittura appese sbilenche, per suggerire l’idea di disordine e confusione; sulle pareti comparivano commenti derisori e insultanti, in modo da suscitare – nei visitatori – ripulsa e scherno.

Una delle sale della Neue Galerie presenta il filmato, proveniente dallo Steven Spielberg Film and Video Archive dell’Holocaust Museum di Washington, girato dal cinereporter americano Julien Bryan, che visitò la Germania nel 1937 e documentò la situazione. Grazie ai fotogrammi catturati da Bryan, abbiamo la possibilità di osservare in presa diretta le espressioni di alcuni visitatori della mostra di Monaco, gli sguardi intenti e perplessi degli uni e quelli divertiti degli altri. La propaganda in gran parte centrò i suoi obiettivi.

Dopo Monaco la mostra sull’arte «degenerata» fece il giro della Germania, e registrò ovunque una grande affluenza di pubblico. La stampa nazista parlò di due milioni di visitatori, cifra probabilmente gonfiata. Comunque, la contro-mostra suscitò molto più interesse rispetto a quella in cui furono esibite le opere approvate dal regime. Dopo l’Anschluss, la mostra sull’arte «degenerata» fu portata anche in Austria: a Salisburgo nell’estate del 1938 e a Vienna nel 1939.
Le opere esposte nel 1937 furono più di seicento, tra dipinti, sculture, disegni, stampe e libri. Complessivamente, dai musei tedeschi furono confiscate e rimosse più di ventimila opere d’arte; una parte fu venduta all’estero, cinquemila andarono perdute.

A New York i pezzi esposti sono molto meno: cinquanta tra dipinti e sculture, più trenta opere su carta (stampe e disegni); a questi si aggiungono, però, poster, volantini, oggetti, libri, fotografie. Rilevante, un inventario delle opere sequestrate nei musei tedeschi, che è arrivato in prestito dal Victoria and Albert Museum di Londra.
Fra gli artisti colpiti dalla censura nazista, alcuni abbandonarono la Germania, come Max Beckmann, che emigrò proprio nel 1937, o George Grosz, che già nel 1933 si era stabilito definitivamente negli Stati Uniti. Ernst Ludwig Kirchner, uno dei fondatori del gruppo artistico Die Brücke, si suicidò in Svizzera nel 1938. Otto Freundlich, il cui Uomo nuovo fu scelto per la copertina del catalogo della mostra sull’arte «degenerata», nel 1943 fu internato in Francia, quindi deportato e ucciso nel campo di sterminio di Majdanek. Anche Felix Nussbaum, che aveva cercato rifugio in Belgio, venne catturato e ucciso a Auschwitz. Benché non facente parte della mostra del 1937, di lui gli organizzatori hanno scelto di esporre il raggelante dipinto del 1944, I dannati, completato poco prima della cattura.

Ma è al termine del percorso della mostra che si percepisce con maggiore acutezza la perdita provocata dalla crociata nazista contro l’arte moderna: di fronte alle cornici vuote, che ci ricordano quante opere furono distrutte e disperse.
Un’ultima osservazione sulle vendette della Storia: nel 2012, nel 75° anniversario dell’inaugurazione, la Haus der Deutschen Kunst, divenuta nel dopoguerra Haus der Kunst, ha ripercorso senza reticenze l’oscuro periodo nazista della sua storia, con la mostra Geschichten im Konflikt: Das Haus der Kunst und der ideologische Gebrauch von Kunst 1937-1955. L’ha fatto sotto la direzione del critico d’arte nigeriano Okwui Enwezor (che curerà anche la 56ma Biennale di Venezia, 2015).