Ma che ci sarà mai dentro le borse degli onorevoli Pd? Sono talmente pesanti che per portarle i deputati del gruppo parlamentare dell’Ars hanno arruolato ben 34 portaborse: ognuno di loro ne ha tre. E pensare che il piatto del Pd piange. Il gruppo non ha i soldi nemmeno per pagare le bollette del telefono. Tant’è che dall’inizio dell’anno le due linee sono state staccate, negli uffici si può ricevere ma non chiamare. Chi vuol contattare l’esterno si arrangia col proprio telefonino, anche i deputati sono in queste condizioni. Al Pd infatti non bastano i fondi che l’Ars gira al gruppo per le spese di funzionamento e che servono per pagare bollette (luce, telefono), per acquistare la carta, per le pulizie.

DI BORSE pesanti però a Palazzo dei Normanni ne circolano davvero tante, il Pd non è solo. Ex cuffariani ed ex lombardiani, riuniti sotto il simbolo Pea (popolari e autonomisti), hanno fatto di meglio: tre portaborse e mezzo ciascuno; in totale 21 assunti per sei deputati. «Diventerà bellissima», il gruppo che fa riferimento al governatore Nello Musumeci, ne ha presi 19 a fronte di sei parlamentari: 3,1 la media. Tre a testa ne hanno pure i due onorevoli di Sf (Nicola D’Agostino ed Edy Tamajo), il movimento dell’ex ministro Cardinale, vicino ai renziani. Trentuno quelli che si aggirano tra le stanze di Forza Italia che ha 13 deputati, otto i portaborse per i tre onorevoli di FdI e 8 per i sei dell’Udc. Il gruppo più «virtuoso» è quello del M5s, 24 portaborse per 20 deputati, una media di 1,1. Numeri che hanno attirato i radar della Corte dei conti.

PER I GIUDICI contabili le assunzioni sono troppe e fatte in modo discrezionale, con contratti addirittura da colf e senza una logica rispondente alle reali necessità di funzionamento dei gruppi parlamentari. E’ possibile che uno con la terza media e con un curriculum non certo esaltante sia davvero in grado di scrivere un disegno di legge o un atto parlamentare? Davvero è così utile un addestratore di cani per affrontare il tema del randagismo che a quanto pare presto sarà tra gli obiettivi prioritari del Parlamento come annuncia il presidente Gianfranco Miccichè? E sarà un caso che tra i portaborse ci siano «figli di» o politici trombati?

C’è poi un decreto «fantasma», firmato dall’ex presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone, che nessuno dei capigruppo dice di conoscere, nonostante in parte sia stato applicato proprio dagli stessi capigruppo, che hanno firmato i contratti dei portaborse. Vero è tuttavia che quel decreto, che in molti conoscono perché quantifica il budget per i portaborse, non è mai stato deliberato dal Consiglio di presidenza perché varato il 23 novembre dell’anno scorso, un mese prima dell’insediamento del nuovo Parlamento. Insomma, un pasticcio. La realtà è che la leggina, approvata dall’Ars quattro anni fa insieme al recepimento del decreto Monti sulla spending review, ha assegnato a un bel po’ di denari per i portaborse. Un gruzzoletto, pari a oltre 4 milioni di euro in cinque anni, che gli onorevoli possono usare a discrezione: le legge non stabilisce né un tetto al numero di portaborse, né prevede particolari figure. E in effetti, i parlamentari hanno rispettato alla lettera la norma: assunzioni in massa, contratti di ogni tipo e figure che poco hanno a che fare con un Parlamento. Altro che austerity. Sono ben 162, tra ‘portaborse’ e cosiddetti ‘stabilizzati’ (precari da anni inseriti in un elenco speciale depositato presso la Presidenza dell’Ars da cui attingono i gruppi, sono 85), i dipendenti inquadrati nei gruppi parlamentari. Un numero che sale se si considera il personale esterno cooptato dai nove componenti dell’ufficio di presidenza dell’Assemblea: 64. Totale, fa 226 ‘esterni’ pagati con soldi pubblici. Il record spetta senz’altro al presidente: Miccichè nel suo staff ha messo 20 persone, più di quante ne dispone il capo dello Stato. Vecchi vizi che la politica aveva cercato di ridimensionare, come fece l’ex governatore Rosario Crocetta quando azzerò l’ufficio stampa con 25 capiredattori, neanche Obama li aveva. Un’era fa. Ora è un’altra storia.

MICCICHÈ PROMETTE di fare ordine nel marasma, su cui la Corte dei conti ha già acceso i fari. Tant’è che il Pd si è subito messo sugli attenti, riscrivendo i contratti, ritenuti troppo generosi, fatti ai 18 «stabilizzati» a gennaio. Gli altri gruppi si adegueranno a giorni. I giudici li tengono di mira. Si tratta di personale che la Presidenza dell’Ars, con decreto, aveva diviso in passato in fasce sulla base dell’anzianità: ai più «vecchi» veniva agganciato un contributo maggiore che diminuiva man mano con la minore anzianità e che viene elargito ai gruppi di destinazione dello stabilizzato per il pagamento dello stipendio; le fasce sono state congelate con un successivo decreto. Un principio che secondo la Corte non può sussistere in quanto l’anzianità non può essere riconosciuta perché questo personale viene inquadrato per una legislatura dai gruppi che hanno natura giuridica privatistica; tant’è che alla scadenza al personale viene erogato il Tfr maturato nei cinque anni. Nella confusione che regna sovrana nel Palazzo che fu di re Federico II, qualche capogruppo, come Alessandro Aricò (Db), ha chiesto alla Corte dei conti di dare una mano. «Noi siamo catalizzatori dei vostri provvedimenti, non spetta a noi», ha risposto, con un sorriso ironico, Maurizio Graffeo, presidente delle sezioni riunite della Corte dei conti. Affari vostri, per dire. E fate pure in fretta, il messaggio di Graffeo. «Presto avremo la soluzione», garantisce Miccichè. Il caos però rimane.