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Arriva Tele-Renzi: fuori i partiti, il timone in mano al governo

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Rai Amministratore delegato con più poteri nominato direttamente dall’esecutivo. Due ipotesi per il cda. La proposta giovedì in consiglio dei ministri. Protestano le opposizioni, ma anche Alfano prende le distanze: «Presenteremo un nostro progetto»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 10 marzo 2015

Appuntamento a giovedì pomeriggio. Partirà dal consiglio dei ministri convocato per le 17.30 la discussione sulla riforma della Rai, che Matteo Renzi ha voluto mettere all’ordine del giorno insieme al ddl scuola. Nel caso della tv pubblica non è prevista subito l’approvazione di un disegno di legge complessivo, ma – come appunto avvenuto per la scuola – la formula al momento preferita è quella delle «linee guida» dalle quali avviare il dibattito consultando gli «esperti» del settore, per poi arrivare appunto al ddl. Anche se un primo disegno di legge potrebbe riguardare subito la riforma della governance dell’azienda, il tasto più delicato. Obiettivo: approvare la riforma entro l’estate, per non dover nominare più i vertici di viale Mazzini con la legge Gasparri.

Le forze politiche, Pd escluso, hanno già parecchio da dire alla sola lettura delle anticipazioni della Repubblica di ieri sulla futura Rai, già definita dai più TeleRenzi. Anche Angelino Alfano prende le distanze dal quel progetto – che assegna direttamente al governo la nomina di un amministratore delegato con più poteri rispetto a quelli dell’attuale direttore generale – parlando da leader di Ncd: «Noi abbiamo un’idea molto chiara, cioè abbiamo un servizio pubblico che fa più ascolti della Bbc e non dobbiamo smantellarlo ma rafforzarlo. Stiamo mettendo giù una nostra proposta che sottoporremo al governo quando il tema arriverà all’ordine del giorno in consiglio dei ministri», spiegava ieri il ministro degli interni. Il premier non ha concesso molto tempo agli alleati, per ora ha solo deciso di far slittare di due giorni la riunione del cdm che era stata annunciata per oggi, anche per evitare ulteriori tensioni nel giorno delle riforme. Ma oggi stesso Renzi consulterà gli esponenti dem della commissione di vigilanza Rai e gli altri parlamentari competenti, convocati al Nazareno .
L’idea di un amministratore delegato alla guida dell’azienda non è una novità. Era già venuta in mente, nel 2007, all’allora ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni. Ma il ddl che portava il nome dell’attuale ministro degli esteri prevedeva – per liberare il Cavallo dalla famosa «morsa» dei partiti e del governo – la creazione di una fondazione che diventasse azionista al posto del ministero dell’Economia, con un consiglio d’amministrazione con più fonti di nomina e una Rai Spa a sua volta con un cda indicato dalla fondazione, un presidente e appunto l’ad con poteri rafforzati. Intervenne poi a gamba tesa Walter Veltroni – in procinto di diventare primo segretario del Pd – con una proposta più radicale: amministratore unico dell’azienda selezionato da una società esterna tra i manager più quotati, e abolizione del cda per uscire finalmente «dal condizionamento della politica».

Di quelle proposte non si fece nulla. Ora tocca a Renzi, e anche il premier-segretario del Pd si ripromette di liberare la tv pubblica dai partiti. Da tutti, come notano in coro le opposizioni, tranne il suo. Perché secondo il progetto abbozzato, l’amministratore delegato in questo caso verrebbe nominato direttamente dal governo e, avendo più poteri dell’attuale dg, non dovrebbe più «mediare continuamente con il cda sulle scelte operative». Il consiglio d’amministrazione – che tornerebbe a 5 componenti dai 9 della legge Gasparri – non sarebbe più nominato dalla commissione parlamentare di vigilanza, alla quale resterebbe comunque il ruolo di «controllore». I consiglieri potrebbero essere nominati o dal parlamento riunito in seduta comune, sfogliando una rosa di candidati indicati da Agcom, Consulta, Conferenza stato-regioni e/o altri soggetti (ma è l’ipotesi B) oppure da un Consiglio di sorveglianza composta da membri nominati anche questi dal governo e dall’Authority delle comunicazioni (che non è esattamente un esempio di indipendenza, essendo lottizzata).

Il forzista Maurizio Gasparri, che dà il nome all’attuale legge, già tuona (in realtà non da ieri): «In parlamento le mire egemoniche e le bramosie lottizzatorie del renzismo saranno bloccate sulla base delle sentenze della Consulta». A ciascuno la sua bramosia.
Protesta anche Sel, con Nicola Fratoianni che chiosa: «Renzi e la riforma della Rai: fuori il parlamento e dentro il governo! Davvero originale». Mentre i 5 Stelle, che si sono detti pronti al dialogo, confermano la disponibilità ma, con il presidente della commissione di vigilanza Roberto Fico, avvertono: «Per noi l’obiettivo è chiaro: rendere la Rai indipendente dal potere politico, dei partiti e, soprattutto, del governo. Siamo pronti a dialogare. Non accetteremo, però, compromessi al ribasso». Oggi sulla riforma Rai è previsto un incontro, a margine della riunione della vigilanza, tra lo stesso Fico e Vinicio Peluffo, capogruppo del Pd in commissione.

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