Un’altra architettura della tarda modernità milanese se ne va per essere sostituita, nella totale noncuranza, da una più rispondente allo spirito del tempo. Nulla di strano sotto la Madonnina dove processi di sostituzioni e di terzializzazione vanno avanti con crescente alacrità. Ecco perciò giunta l’ora per demolire gli uffici direzionali della Rizzoli di Piero Portaluppi e Gaspare Pestalozza (1957-60) con il loro icastico prospetto per lasciare posto al nuovo «ufficio biofilico del futuro» progettato da Kengo Kuma. D’altronde come ha affermato l’architetto giapponese «non possiamo controllare il tempo», quindi quello che possiamo fare è solo «immergere le nostre costruzioni nel tempo», senza doverci preoccupare troppo della storia.
Ciò che si salverà dalla demolizione sarà solo la sinuosa doppia rampa dell’atrio, inglobata come un frammento superstite in uno dei volumi che sovrapposti e disposti a ventaglio occuperanno l’intero perimetro del lotto.

ALL’ARCHITETTO GIAPPONESE e alla sua partner Yuki Ikeguchi, la società Europa Risorse (promotrice dell’iniziativa immobiliare per conto dell’investitore PineBridge Benson Elliot) ha provveduto a consegnare una pagina bianca sulla quale poggiare un attraente ed elegante origami di legno, vetro e acciaio. Il progetto parrebbe un’inversione di tendenza rispetto alla «città alta» che Milano ha sostenuto fino a oggi. Kuma, infatti, ha immaginato, nell’ex area Rizzoli che lambisce il Parco Lambro, un edificio basso che a detta dei suoi developer dovrebbe essere un «catalizzatore» all’interno di un tessuto edilizio dove è inserito a modi di cerniera tra case in linea popolari che gli stanno davanti e fabbricati più recenti con funzioni direzionali che gli sono di fianco: il prodotto del modesto masterplan dello Studio Boeri (2001). Il contenitore di uffici e negozi, denominato Welcome, è tutto immerso in un sistema di aiuole, essenze arboree e tetti giardino cui non si può non esserne empaticamente attratti. Qualche dubbio sorge sul fatto che davanti al gesto incantevole di un’architettura che impiega in maniera così diffusa l’elemento verde come espediente per effetti sensoriali e di mitigazione climatica, tutto intorno si dispieghi invece lo spreco energetico di edifici che richiederebbero programmi di intervento pubblico per la loro efficienza energetica, meno farraginosi di quelli messi in campo ad esempio nel «Decreto Rilancio». È un argomento complesso quello della sostenibilità ambientale che non si risolve neppure nel rispetto degli standard del progetto di Kuma.

NON SI RISCHIA DI DIVAGARE, tuttavia, raccontando ciò che sta intorno al suo «ufficio-biofilico», perché in zona Crescenzago, quadrante nord-est di Milano, la condizione abitativa è critica per l’assenza di servizi, la mancanza di negozi di prossimità per i consumi primari e di servizi medici, senza inoltrarci oltre sul degrado del territorio intorno al fiume Lambro.
La riqualificazione del terzo e ultimo lotto dell’area ex Rizzoli di Kuma avrà pertanto il nostro plauso solo se compenserà le disfunzioni abitative del quartiere, in altre parole se saprà soddisfare i bisogni dei suoi abitanti e non solo la domanda di spazi uffici in un mercato già in esubero. Magari si potrà porre come un’alternativa credibile alle tipologie edilizie a «torre» che anche qui hanno fatto la loro comparsa come nel caso delle Park Towers dello Studio Asti, che in via Crescenzago svetteranno sull’angolo nord-ovest del Parco: spia di un processo di gentrificazione in atto che chissà se il progetto di Kuma saprà significare, quanto meno per essere meno invasivo e banale di altri, con la sua sagoma disarticolata e spazi disposti a scalare in rapporto non solo con la natura che sta nei pressi, ma con la vita delle persone che gli ruota attorno.