Giuseppe Conte raccoglie l’appello del capo dello Stato. Almeno a parole. Propone un tavolo «con tutti gli attori sociali» per mettere a punto il progetto di rilancio economico, in soldoni per decidere insieme come spendere i fondi degli aiuti europei. Anche con l’opposizione? «Ma certo, non si tratta mica di un tesoretto a disposizione del governo di turno». La conferenza stampa del presidente del consiglio nel giorno della ripartenza si occupa soprattutto della crisi a venire e di come fronteggiarla. Alla riapertura dei confini regionali, di fatto la fine del lockdown, dedica solo il passaggio iniziale, «Dati confortanti ma bisogna restare prudenti», poi passa al cruccio oggi principale: la mazzata che sta per abbattersi sul Paese in termini di impoverimento, aziende chiuse, disoccupazione.

CONTE SI LIMITA AI TITOLI, invitando tutti a procedere con le riforme già in Parlamento e promettendo moltissimo a tutti senza entrare mai nel merito. Il segnale che intende lanciare, del resto, è politico, come politica era la lettera al Corriere della Sera con la quale Silvio Berlusconi, smarcandosi platealmente dai bellicosi alleati, aveva messo a disposizione le idee e la disponibilità del partito azzurro. Senza fantasticare su improbabili governi di unità nazionale ma ipotizzando un «tavolo» comune per tutte le parti sociali e politiche molto simile, se non proprio identico, a quello che Conte si appresta a convocare, probabilmente già lunedì prossimo, a villa Pamphili.

LE FALLE DEL SISTEMA Italia, quelle che bisogna colmare «cogliendo l’occasione» offerta dalla crisi, sono tante. Conte cita la giustizia, non per la prima volta, ma anche la riforma della Pubblica amministrazione. Torna a promettere una revisione profonda dell’abuso di ufficio e ipotizza misure contro quei funzionari che, per non rischiare di vedersi addossate accuse di ogni sorta, semplicemente evitano di fare qualsiasi cosa. Li si potrebbe in futuro accusare di «danno erariale».

Certo i controlli iniziali dovranno essere più che mai accurati. Poi però la burocrazia dovrà correre. Almeno negli auspici di palazzo Chigi. Sulle idee concrete qualcosa in più il premier aveva detto in mattinata. Aveva ribadito che la transizione ecologica dovrà essere centrale in ogni progetto e dovrà essere «di portata epocale». Nella conferenza stampa accenna all’alta velocità e, a domanda precisa a proposito del Ponte sullo Stretto su cui insiste Renzi, non si espone troppo ma neppure esclude a priori.

I FONDI EUROPEI ci si augura siano molto cospicui ma la partita, profetizza il premier, sarà dura. Di certo c’è solo che non arriveranno presto: «Con la presidente von der Leyen stiamo cercando una strada per ottenere anticipi». Solo che trovarla non è per niente facile. L’Italia chiederà il sostegno del fondo Sure, anche qualcosina in più dei 20 miliardi previsti, ma tra le righe il premier fa capire che sarà probabilmente necessaria anche un terzo decreto in deficit. E il Mes? Qui Conte il diplomatico glissa, si trincera dietro il solito: «Bisogna vedere le condizioni: ricordiamoci che si tratta di un prestito».

I TEMI CHIAVE, perché di portata strategica anche sul piano politico, sono il nodo Atlantia e i rapporti con Carlo Bonomi e Confindustria. Sul primo capitolo Conte è chiaro: «C’è una revoca più che giustificata. Per tornare indietro serve una proposta molto vantaggiosa. Quelle avanzate per ora non lo sono». Questione di prezzo. Su Bonomi, dopo aver bollato come «frase infelice da rispedire al mittente» il paragone tra politiche governative e Covid, il premier è altrettanto chiaro: «La riforma fiscale ci sarà ma le aziende non possono chiedere solo meno tasse». Non che qualcuno metta in dubbio il primato del guadagno, «non siamo collettivisti», ma esiste anche una responsabilità sociale delle imprese, come ben sapeva l’opportunamente citato Adriano Olivetti. Questione di contrattazione, anche in questo caso.

GIORGIA MELONI È LA PRIMA a bollare gli annunci di Conte: «Ma con che coraggio fa nuove promesse?», mentre Salvini si dichiara pronto a sfidare il governo «sulle proposte della Lega a proposito di burocrazia e fisco». In realtà anche nell’ala morbida dell’opposizione, cioè in Forza Italia, fioccano perplessità, più o meno sincere, su un programma fatto solo di titoli e basato essenzialmente su promesse. «È il solito capitan Futuro», chiosa la capogruppo azzurra al Senato Bernini e dal quartier generale forzista filtra massima sfiducia sulle intenzioni reali di Conte. Stavolta però, un po’ per il pressing del Colle, un po’ per la necessità di fronteggiare una situazione difficilissima con qualche appoggio dall’esterno, l’apertura del premier potrebbe non essere solo una messa in scena.

Non a caso il partito di maggioranza nel quale si è subito diffusa una sotterranea ma robusta fibrillazione è quello più ostile a ogni forma di dialogo con l’opposizione, il M5S.