Mettiamo che siano passati una ventina d’anni. Allora, quando il campanello del citofono suonava più o meno alle undici del mattino, e tu chiedevi ‘Chi è?’, una voce rispondeva ‘Posta’, con quattro punti esclamativi in coda.

Il tuo postino sapevi che faccia aveva, era sempre e soltanto lui, lo stesso, salvo assenze per malattia e ferie. A volte ci facevi due chiacchiere perché doveva consegnarti una raccomandata, corrispondenza temutissima, o un pacco. In quel caso appoggiava sulla borsa stracolma il foglio diviso a caselle, faceva una crocetta accanto al tuo nome e ti chiedeva di firmare.

Quasi impossibile trovare un postino antipatico. E anzi, man mano che il tempo passava, si andava creando una sorta di confidenza, fatta di poche parole ma percepibile. Il postino curiosava appena e con garbo nella tua vita, ti offriva scampoli della sua, ‘Stanotte il piccolo non ci ha fatto dormire’, chiedeva un parere sui risultati di una consultazione elettorale o, se aveva fiutato in te il tifoso di calcio, di una partita importante.

Ti capitava di incontrarlo nel suo giro per il quartiere: all’uscita da un portone, in piedi e paziente ad ascoltare lamentele e rimpianti di una vecchia signora, con gli occhiali sulla punta del naso cercando un nome sconosciuto su un citofono, all’ombra di un albero per riprendere fiato nel caldo estivo, un gesto e un richiamo da lontano per consegnarti la posta ‘visto che è qui’.

Il postino non era un amico però ci somigliava.

In caso di trasloco, ne trovavi un altro ad aspettarti. Anche lui, magari diverso per età e aspetto, magari di carattere opposto, diventava in fretta un momento della tua giornata. Vent’anni dopo, per dirla con Alexandre Dumas. Il campanello, adesso, suona al mattino e al pomeriggio. Al tuo ‘Chi è?’ rispondono ‘Posta’ il precario numero uno che recapita le bollette del gas e della luce, il precario numero due che recapita la corrispondenza della banca, il precario numero tre che recapita i bollettini delle tasse comunali, il precario numero quattro per varie ed eventuali, il precario a parte che dichiarandosi postino ti lascia nella cassetta un quintale di ciarpame pubblicitario.

E il tuo postino, quello certificato PT, Poste Italiane? L’evoluzione della specie lo ha trasformato in una strana creatura. Umano non umano, pensando al titolo di un vecchio e stravagante film del pittore Mario Schifano, tra gli attori Carmelo Bene e Alberto Moravia, sull’incomunicabilità.

Se l’attuale postino PT ti chiede di scendere per una raccomandata, lo trovi che impugna un palmare, fa uscire la ricevuta da una stampante portatile, procede alla lettura elettronica della cedola incollata sulla busta e conclude l’iter con la manualità della tua firma. Analoga procedura esegue nelle vesti di postino/esattore, tramite per cartelle fiscali e simili piacevolezze dall’Agenzia delle Entrate.

Il nuovo portalettere (termine antico, di vago sapore romantico, ormai desueto) indossa il giallo e blu, colori delle PT, sul giubbotto e sul giaccone, sulla borsa, sopra la visiera del casco quando si sposta in sella a un motorino. Guida un furgone, un’auto, il quadriciclo a motore, la bicicletta a pedalata assistita.

Il nuovo portalettere è l’ennesima, tangibile, dimostrazione di come la tecnologia migliori la vita, in questo caso sua e del destinatario delle missive. Quindi, di conseguenza, non deve importarti che vada sempre di fretta, che il ‘buongiorno’ sia ormai privo di chiacchiere a seguire.

Devi rassegnarti: il postino di vent’anni fa non potrà mai essere vintage, non tornerà in auge come il disco 33 vinile o il chinotto in bottiglietta. Il postino di vent’anni fa non esiste più.

Poi succede che leggendo un quotidiano, ti imbatti in una piccola notizia ‘Il giorno tale, all’ora tale, nel tal posto, Angelo Ferracuti presenta il suo ultimo libro Andare, camminare, lavorare. L’Italia raccontata dai portalettere, Feltrinelli Editore’.

Ferracuti lo conosci, bel narratore di reportage che sanno sviscerare le tante anime della nostra penisola. Lo chiami subito, esprimendogli gratitudine per aver scritto di una figura ormai in via di estinzione, sbiadita dalle omologazioni della modernità, messa in secondo piano dalle cosiddette leggi di mercato.

Angelo lascia che si crei un istante di silenzio, poi lo spezza con un’affermazione tanto breve quando decisa «Non è così. Ti mando il libro».

Le trecento e quaranta pagine arrivano qualche giorno dopo. Su uno dei due risvolti di copertina alcuni passaggi della prefazione «Se un occhio potesse osservarli tutti adesso, in questo stesso istante, li vedrebbe contemporaneamente i tanti portalettere italiani, con passi differenti e diverse espressioni, altezza, colore dei capelli, occhiali da sole e da vista, tutti in movimento, frenetici su giroscale deserti, impettiti in attesa davanti al cancello di una palazzina residenziale, fermi sulle soglie degli appartamenti, a guardare il cielo, le nuvole dentro le auto di servizio nelle vie di città, o sugli scooter lanciati sui rettifili, lentamente avanzare a velocità ridotta sulle stradine di campagna… Donne e uomini, in mano un pacchetto di lettere, che osservano un indirizzo, scrutano una busta, si spostano spinti da una forza sconosciuta, e pensano migliaia di cose diverse mentre camminano».

L’altro risvolto svela, neanche tu lo sapevi, che Angelo Ferracuti, il portalettere lo ha fatto per quindici anni. E forse, ti viene da pensare, era proprio ‘quel’ portalettere che ricordi. Andare, camminare, lavorare. Magnifica canzone del livornese Piero Ciampi, ‘Niente scoramenti/ Andiamo, andiamo a lavorare/ Andare camminare lavorare/ Il vino contro il petrolio, grande vittoria/ grande vittoria, grandissima vittoria/ Andare camminare lavorare/ Il meridione rugge, il nord non ha salite/ Niente paura, di qua c’è la discesa/ Andare camminare lavorare’.

Dove vanno, camminano, lavorano i cinquantatre postini che Ferracuti ha incontrato e accompagnato in sei mesi di viaggio dalla Val d’Aosta alla Sardegna? Le voci dell’indice tracciano geografie fisiche e sociali lontanissime tra loro al di là del computo chilometrico.

Il Piemonte del campo nomadi di Alba e della Torino di Mirafiori Sud; il Trentino misantropo di Passo Rolle e la Milano ex industriale della Bicocca; la Genova ‘sconcia’ del porto e il quartiere bolognese Cirenaica; Prato di via Pistoiese e Pietralata quartiere romano caro a Pasolini; Napoli dei Quartieri Spagnoli e Craco deserta nel deserto della Basilicata; San Luca in Aspromonte e lo Zen di Palermo.

Ti metti a leggere, e scopri che ha ragione Angelo: il portalettere da te dato per estinto o sulla strada dell’estinzione, non solo esiste ancora, ma è vivo più che mai. Ritratti.

Piemonte, Vigliano Biellese, Zona Industriale «Franco Fabrizio, basso di statura, capelli rasati bianchi e un viso simpatico, un paio di occhialini da miope… è uno che corre sempre. Scende dal suo furgone frenetico e raggiunge i civici o le entrate delle vecchie fabbriche sempre veloce di gambe, e non smette mai…».

Trentino Alto Adige, Merano «Andrea, biondo e schivo… consegna in questa parte di città che dal centro storico sale verso la montagna, è un innesto. A vederlo così magro e dai lineamenti nordici, non si direbbe affatto che suo padre Mario fosse minatore nella cava di Montevecchio, nel Sulcis…».

Firenze, Mercato Centrale «Edoardo, che tradisce appartenenze etniche siciliane, ma anche venete… consegna negli otto chilometri fatti con la bicicletta trainata a mano da oltre dieci anni nella zona del mercato… La prima cosa che colpisce è l’atteggiamento di portalettere conservatore e ligio al mestiere».

Roma, quartiere Pietralata «Ci dirigiamo verso il complesso che sta di lato al grande condominio dei ferrovieri… Un tipo trucido, jeans e maglietta nera, l’aria viziata di uno che è invecchiato troppo in fretta ma coi capelli neri e corti, chiede se è arrivato il suo assegno. ‘Te l’ho portato a casa, Romolè’, gli risponde il portalettere (Roberto, ndr). Mi spiega che è agli arresti domiciliari, ma viene qui a scaricare qualche tir per guadagnare du lire».

Napoli «Il sipario si apre quando raggiungo i Quartieri spagnoli con Mimmo, che ha tutta una sua mimica e gestualità da Pulcinella… Lui tiene la scena a meraviglia e avanza, borsa a tracolla, in via Sant’Anna di Palazzo, la testa completamente calva, lucida, e un faccione espressivo come pochi, gli occhi verdi e interrogativi…».

San Luca. Sull’Aspromonte «Francesca ha trent’anni e una caparbietà di donna matura, nonostante il fisico esile, gli occhiali da maestrina miope, il piglio che certo non la fa spaventare a venire tutti i giorni in uno dei luoghi più demonizzati d’Italia, che conosce a memoria e intimamente studia, lei che viene da Locri».

Infondono vita, conferiscono un’identità precisa a ciascun ritratto, quei mondi che Ferracuti definisce ‘a parte’, dove regole e comportamenti non scritti dettano le modalità del vivere/ sopravvivere/ lasciar vivere quotidiano.

Angelo Ferracuti
«Considero il portalettere l’ultimo Grande Fratello naturale, un profondo conoscitore e penetratore dei luoghi. Grazie a lui, a lei, ho avuto accesso a contesti difficilmente permeabili»

Angelo li racconta con prosa da cronista, astenendosi da considerazioni e azzardi di giudizio, seguendo a distanza giusta il (la) portalettere, suo grimaldello, suo passepartout «Considero il portalettere l’ultimo Grande Fratello naturale, un profondo conoscitore e penetratore dei luoghi. Grazie a lui, a lei, ho avuto accesso a contesti difficilmente permeabili».

I mondi a parte si contrappongono quando appartengono alla stessa città. Lo scrittore cita la Torino di Mirafiori Sud, che ha visto Filomena fargli da guida, e la Torino alle spalle del Lingotto, quartiere Nizza – Millefonti, divisa tra Maghreb e Romania, dove Domenico lavora, borsa e pazienza in spalla.

«Pur se non esiste più la bella posta, cioè la lettera della fidanzata, del figlio militare, del parente emigrato, e tutto si sia ridotto a cartelle esattoriali e pubblicità commerciale, il portalettere continua ad essere incarnato nel luogo del suo lavoro, ad avere con questo luogo un rapporto molto forte. Ed è ciò che mi ha colpito di più». Recapitare corrispondenza sembrerebbe il mestiere giusto per far propria la filosofia della routine.

Un reportage (ma non è l’unico) racconta invece del giovane Francesco, capace di inventarsi codici di comunicazione per poter entrare in contatto con una realtà a dir poco difficile. Ricorda lo scrittore «Lo Zen è una dimensione assolutamente orale, in cui tutti urlano. Urla al megafono il venditore di numeri della lotteria clandestina, urla il venditore ambulante. E siccome i citofoni li rubano o li strappano, anche il postino ha deciso di urlare quando consegna la corrispondenza. Urla un nome, e la gente si affaccia».

Questi esempi, insieme ad altri aspetti che emergono seguendo il filo narrativo del libro, porterebbero ad azzardare che fare il portalettere rappresenti qualcosa di più di un semplice lavoro, che sia una sorta di missione da compiere a prescindere dall’entità dello stipendio «È così. Penso che non pochi interpretino il loro ruolo in questo senso. Prendiamo il portalettere di Alba. Lui stesso afferma di fare qualcosa che va oltre i propri compiti, di essersi preso in carico la comunità rom dove nessun collega voleva andare. Penso al postino Mario, di Monterosso, che a un certo punto mi molla e si mette a parlare mezz’ora con una vecchietta. Spazientito, quando finisce gli chiedo cosa avesse da dirgli di così importante. Mi risponde che il fratello della signora sta morendo e lui doveva ascoltare tutta la storia. Insomma: esiste ancora una vocazione sociale, che si accentua nei paesi piccoli e piccolissimi. Il portalettere è un mestiere che prende la forma del posto in cui lo si fa».

Come per tanti altri lavori nell’universo del lavoro, postino è diventato sostantivo di genere femminile in tempi relativamente recenti. Parte del suo viaggio, Angelo l’ha compiuta a fianco di ragazze e signore in divisa gialla e blu. Dalle pagine che le riguardano emergono figure dal carattere forte, determinate, lucide, con una capacità di gestire le situazioni molto alta «Nelle donne c’è un elevato senso di responsabilità rispetto al lavoro, che in questo caso stimola la sensibilità verso le persone e l’ambiente in cui il lavoro viene svolto. La postina di Passo Rolle, in Trentino, conosceva a menadito i nomi degli alberi e degli animali. Si fermava ogni tanto a osservare qualcosa che aveva richiamato la sua attenzione. Ne sono rimasto commosso».

Ad attendere ogni giorno Filomena al fondo di via Bernardo De Canal, Torino, Mirafiori Sud, c’è il vecchio padre di un figlio andato lontano «‘Quando mi vede, mi chiede subito: allora, è arrivata? Lei lo sa, vero, che lui vive in America?’. E quando la mattina è in ufficio e la adocchia, Filomena è contenta, non vede l’ora di arrivare da quelle parti per dargliela. Conosce il potere benefico della missiva, sa che il vecchietto la leggerà e la rileggerà più volte con gli occhi umidi, conservandola come tutte le altre in un cassetto del comò, insieme alle fotografie e ai ricordi più cari».

Ci sarà comunque e sempre bella posta nel borsone di chi, dopo Filomena e i suoi trentatremila cinquecento compagni di fatiche, diventerà portalettere. Andare, camminare, lavorare.