Film, appartamenti di lusso a Londra e Beverly Hills, yacht, persino un Picasso da più di tre milioni di dollari regalato a Leonardo Di Caprio (che lo ha poi consegnato alle autorità statunitensi). Il problema è che i soldi con cui sono stati finanziati questi acquisti, e produzioni, vengono da un fondo pubblico della Malesia – 1MDB – che da Kuala Lumpur porta fino a Hollywood dove i soldi pubblici malesi sono stati usati dalla casa di produzione Red Granite Pictures per finanziare film come Scemo e più scemo 2, Daddy’s Home e – il caso più celebre – Wolf of Wall Street (2013) di Martin Scorsese.

Lo scandalo, scoppiato nel 2015 grazie alle rivelazioni del «Wall Street Journal», ha portato ieri all’arresto per appropriazione indebita dell’ex primo ministro malese Najib Razak – sconfitto a maggio dal suo rivale Mahathir Mohamad, che ha fatto ripartire le indagini con la promessa di consegnare alla giustizia i responsabili della truffa miliardaria – reo secondo le accuse dell’anticorruzione del Paese asiatico di aver usato 1MDB come «conto personale» per finanziare ogni genere di lussi per sé e sua moglie, compresa la casa di produzione hollywoodiana il cui CEO, Reza Aziz, è proprio il nipote dell’ex primo ministro. In seguito il «WSJ» ha anche smentito le dichiarazioni del partito di Razak, secondo il quale i soldi finiti nelle tasche dell’allora premier erano una donazione dell’Arabia Saudita come «ringraziamento» per la lotta all’Isis.

Già lo scorso marzo, la Red Granite Pictures ha patteggiato con il governo statunitense un rimborso di sessanta milioni di dollari sugli incassi dei film «incriminati», all’interno di una più vasta causa civile del Dipartimento di Giustizia Usa che puntava al sequestro di beni per 1,7 miliardi in quanto frutto di appropriazione indebita.

E ora l’arresto di Najib Razak contro il quale esiste, secondo Mahathir Mohamad, un «caso perfetto»: l’ex primo ministro – che durante il suo mandato aveva cercato di mettere a tacere lo scandalo interferendo con le indagini e facendo fuori dal parlamento chi aveva espresso delle critiche verso la sua condotta – rischia adesso di essere incriminato per corruzione, abuso di potere, e appropriazione indebita da parte di un funzionario pubblico. Reati per i quali sono previsti fino a vent’anni di carcere e, per la legge malese, punibili anche con le frustate.