Libertà su cauzione. È durata poco, in Cile, la detenzione di Cristian Labbé, che fu guardaspalla dell’ex dittatore Augusto Pinochet. Lunedì è stato arrestato insieme ad altri 9 ex ufficiali, con l’accusa di aver partecipato alla tortura e agli assassinii di oppositori politici durante la dittatura, andata al potere con il golpe dell’11 settembre 1973. Ieri, Labbé ha però ottenuto la libertà su cauzione, previo il pagamento di 350 dollari. E oggi, se la corte d’Appello confermerà la sentenza, uscirà dal carcere.

Labbé, ex colonnello dell’esercito, è uno dei più noti e fedeli sostenitori di Pinochet. Ha anche ricoperto un incarico ministeriale alla fine del regime militare, nel 1990, ed è stato sindaco di Providencia. È sospettato di complicità nell’assassinio di 13 prigionieri politici, morti nel campo di Tejas Verdes, vicino alla città portuale di San Antonio. Secondo la giudice Marianela Cifuentes, «esistono fondati sospetti per ritenere che Cristian Labbé Galilea abbia partecipato, in qualità di autore materiale, al delitto di associazione illegale, per averne fatto parte in modo immediato e diretto». Per i difensori di Labbé, invece, il loro assistito «non ha torturato nessuno» e deve tornare in libertà. E in molti, a destra, gli hanno espresso il loro sostegno. In Cile, il giudizio sugli anni della dittatura è ancora materia di scontro politico.

«Tocca ai magistrati determinare le responsabilità, speriamo che venga fatta chiarezza su questi crimini», ha detto il portavoce del governo Bachelet, Alvaro Elizalde. Secondo le indagini in corso sui crimini commessi durante la dittatura di Pinochet, nel centro di detenzione e tortura di Tejas Verdes, dove agiva la direzione dell’Intelligence cilena, la Dina, sono stati reclusi 100 persone. Due di loro, Anatolio Zarate e Hector Salvo, hanno chiamato in causa Labbé accusandolo di averli torturati. Un’indagine ha preso avvio quest’anno su sollecitazione del ministero dell’Interno nell’ambito del Programma per i diritti umani.

Il responsabile dell’area giuridica del Programma, Rodrigo Lldo, ha detto che verrà anche inviata una richiesta al Brasile per conoscere che tipo di corsi e di tecniche di tortura venivano insegnate nel territorio e poi replicate in Cile, in base alla Escuela de las Americas. Secondo le testimonianze, Labbé non torturava direttamente, però dava le indicazioni e questo comporterebbe un’accusa maggiore e un aggravio di pena al processo.
«Il detenuto, nudo, era legato a una sedia o a una rete metallica e colpito fino a provocarne fratture», recita il rapporto della Commissione nazionale per la Verità e la Riconciliazione che ha condotto l’indagine nel 1991, conosciuta come Informe Rettig. Nel centro di tortura di Tejas Verde, dice ancora il rapporto, «molte persone morirono o ne uscirono solo per andare a morire, condannate dal Consiglio di guerra, altre vennero uccise senza processo, altre ancora in conseguenza delle torture subite».