Si stringe il cerchio intorno a Zhou Yongkang, ex zar della sicurezza cinese, magnate del petrolio, ex alleato di Bo Xilai. C’è ancora chi sostiene che contro di lui, ex membro della commissione permanente del Politburo, ora in pensione, non si potrà mai svolgere un processo pubblico (una forma di rispetto al suo rango e ai suoi tanti alleati, alcuni dei quali al momento potrebbero agire sotto traccia ), ma di sicuro per Zhou ora è terra bruciata.
Pesa di sicuro la sua alleanza con Bo Xilai (all’epoca della caduta del principino di Chongqing, Zhou venne dato addirittura in procinto di organizzare un colpo di Stato) e la sua capacità di occupare ruoli di potere. Xi Jinping ha puntato lui, per procedere ad un ricambio in posizioni chiave. E se il mirino è sulla tigre delle tigri (usando la metafora del Presidente Xi Jinping – «colpiremo sia le mosche sia le tigri» – rispetto agli obiettivi della sua campagna anti corruzione) a finire male, per ora, sono molti dei suoi alleati più vicini.
Nelle scorse settimane, ma si è saputo solo nei giorni scorsi, sarebbe stato arrestato Liang Ke, 48 anni, capo delle spie cinesi. Era il boss dei servizi di sicurezza. Secondo le fonti Reuters, «l’arresto di Liang Ke sarebbe in connessione con le accuse di corruzione e per i suoi rapporti con Zhou, 71 anni, il politico cinese più anziano ad essere coinvolto in uno scandalo per corruzione da quando il Partito comunista è salito al potere nel 1949. Il messaggio ufficiale inviato era che Liang Ke era sospettato di corruzione, ha specificato una delle fonti, identificata solo come un ex ufficiale della sicurezza». Liang Ke avrebbe aiutato Zhou, «con mezzi e canali non approvati». L’ex spia non è l’unico ad essere finito nella rete: anche il viceministro della pubblica sicurezza cinese, Li Dongsheng, è stato licenziato ed è sotto inchiesta per «serie violazioni disciplinari», un’espressione che in genere prelude ad un’accusa formale per corruzione.
L’annuncio è apparso sul sito del governo cinese, 24 ore dopo la diffusione di dichiarazioni del premier Li Keqiang secondo il quale Pechino intende promuovere «la più completa trasparenza» degli atti di governo. Li Dongsheng era stato nominato nel 2009 dall’allora capo dei servizi di sicurezza, sempre lui, Zhou Yongkang. C’è un’altra indicazione che indica la caccia a zhou: la scorsa settimana è stato arrestato il suo ex-braccio destro Ji Wenlin. Non solo politici, perché anche Shen Dingcheng, vice presidente della PetroChina International, è scomparso poco prima della festività capodanno, secondo quanto ha riferito il China Business Journal. Anche in questo caso siamo all’interno dell’impero di Zhou: Shen è diventato capo della China National Petroleum Corporation tra il 1992 e il 1997, proprio quando Zhou deteneva le posizioni di vice direttore e direttore generale della Cnpc. Tutte queste operazioni, secondo Wu Wei, ex funzionario intervistato dal New York times, hanno un unico significato: «Estirpare i denti di una tigre, trasformandola in un gatto malato».