La strage di Buffalo negli Stati uniti riguarda in realtà da vicino anche l’Italia. Non tanto perché lo stragista, Payton Gendron, il 18enne suprematista bianco che ha ucciso dieci persone, ha rivelato l’origine nord-europea e italiana dei suoi genitori.

Non solo perché, come altri suprematisti stragisti negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda e in Europa ha dichiarato di essersi ispirato nel suo atto criminale alle gesta di Luca Traini, il simpatizzante della Lega che nel febbraio del 2018 a Macerata ha sparato all’impazzata dalla sua auto contro gli immigrati: un tentativo di strage “ispirato da ideologie nazifasciste” e “aggravato dall’odio razziale”, ha sentenziato la Cassazione.

MA SOPRATTUTTO perché tutte le maggiori stragi di stampo etno-suprematista rivelano altri due fattori determinanti: il facile accesso legale alle armi e la letalità delle armi utilizzate. Due elementi, che, uniti all’odio razziale e all’ideologia nazifascita, rendono la miscela potenzialmente esplosiva anche in Italia.

Non è un problema solo di “lupi solitari”, ma riguarda i gruppi che a quelle ideologie si ispirano. Come avverte “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza”, recentemente inviata al Parlamento, “ancora alto è apparso l’indice di pericolosità promanante dalla diffusione online di ideologie neonaziste e suprematiste che istigano a porre in essere atti violenti e indiscriminati motivati dall’odio razziale o in linea con quella corrente ’accelerazionista’ globale che mira alla ’soluzione violenta’ come unica via per abbattere il ’sistema’”.

“IL FENOMENO – evidenzia la Relazione – che segue negli ultimi anni un trend in costante ascesa sul panorama internazionale, ha trovato nel 2021 ulteriori conferme sul piano giudiziario, con diverse operazioni di polizia che hanno disvelato come nel nostro Paese tale propaganda virtuale pro-violence abbia contribuito ad alimentare insidiosi percorsi di radicalizzazione di singoli individui e di ristretti gruppi, facendo emergere segnali di un rischio di transizione della minaccia, anche sul piano reale”. Il rischio, dunque, in Italia non riguarda solo i singoli, ma i gruppi e non è solo una minaccia ma è reale.

E lo è ancor più se si pensa che in Italia vi sono almeno 350mila “tiratori fantasma”, cioè persone che detengono armi con una licenza di “tiro sportivo”, ma che non sono iscritti alle federazioni nazionali di tiro a segno.

Persone a cui le norme attuali permettono di detenere 3 pistole con caricatori fino a venti colpi, 12 fucili semiautomatici – i più utilizzati nei mass-shooting – con caricatori fino a dieci colpi in numero illimitato e senza obbligo di denuncia e un numero illimitato di fucili da caccia.

Ce n’è a sufficienza per armare legalmente dei battaglioni. Persone che possono esercitarsi con queste armi nelle varie discipline del tiro, tra cui il “tiro dinamico”, e che possono addestrarsi allo scontro armato tra gruppi emulando le strategie di guerra in scenari simili a quelli urbani utilizzando le armi da soft-air, fedeli riproduzioni delle armi da fuoco.

IN ITALIA, per ottenere una licenza per armi non è richiesto nessun controllo specialistico né un esame tossicologico: tutto si basa su una autocertificazione firmata dal medico di base e un controllo di idoneità psicofisica presso l’Asl simile a quello per ottenere la patente di guida.

Luca Traini ottenne la licenza di “tiro sportivo” in diciotto giorni. Quanti altri come lui, animati da ideologie nazifasciste, ce ne sono in Italia? Nessuno lo sa. E, come lui, potrebbero essere tutti legalmente armati.

*Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL)