Un aspetto del problema è il fastidio di dover tornare a Roma dopo appena dieci giorni di ferie. Senatrici, senatori, deputate e deputati: riuscissero tutti a onorare l’impegno, nella sala della Regina di Montecitorio domani alle 12.30 dovrebbero essere in 138 ad ascoltare le comunicazioni urgenti delle ministre Mogherini e Pinotti sull’avanzata dello Stato Islamico in Iraq e sulla necessità di inviare armi italiane ai guerriglieri kurdi. Chi proprio non riesce a tornare può farsi sostituire all’interno del proprio gruppo; presenze volontarie sono sempre le benvenute ma è praticamente sicuro che molti posti resteranno vuoti. Perché l’altro aspetto del problema è l’utilità di questa convocazione quasi ferragostana delle commissioni riunite esteri e difesa. I parlamentari in seduta congiunta non potranno votare nulla: l’informale assemblea bicamerale andrebbe altrimenti divisa tra senatori e deputati. Che, al limite, licenzieranno una mozione, tanto tutto è già deciso e le prime spedizioni di armi partiranno entro la settimana.

Il governo italiano comunicherà al parlamento come intende muoversi. Proprio la ministra degli esteri Mogherini è stata la promotrice (con il collega francese) del consiglio dei ministri Ue di ferragosto sull’Iraq – del resto l’Italia è nel suo semestre di presidenza e Mogherini ancora in pista per il ruolo di Alto rappresentante della Commissione. A Bruxelles l’Ue ha deciso di appoggiare l’invio di armi ai kurdi – che Francia e Inghilterra avevano già annunciato autonomamente – «in accordo alle capacità e alle leggi nazionali degli stati membri». La prassi italiana non impone al governo di passare per il parlamento. «L’invio di armi non equivale a una missione militare, ma è comprensibile e apprezzabile la scelta politica di voler coinvolgere le camere», dice il presidente della commissione esteri di Montecitorio Fabrizio Cicchitto (Nuovo centrodestra). Che è più che favorevole ad armare i kurdi, anzi pensa che non sia sufficiente «di fronte a un terrorismo che si è fatto esercito». Stessa linea del presidente della terza commissione del senato Casini, ed è favorevole anche il presidente della commissione difesa del senato Latorre (Pd): «Un grande paese deve sapersi assumere le proprie responsabilità e svolgere le funzioni che gli competono».

Ma il passaggio è delicato, quale strada prenderanno concretamente quelle armi è difficile da prevedere e per questo il governo ha deciso di coinvolgere il parlamento. Per questo e per quel po’ di demagogico che c’è in tutte le convocazioni estive. I precedenti non mancano, il più simile è forse quello di tre estati fa, quando intorno a ferragosto l’ancora per poco ministro Tremonti fece tornare a Roma deputati e senatori delle commissioni affari costituzionali e bilancio. Aveva appena ricevuto la famosa lettera-ultimatum della Bce e voleva dimostrare che l’Italia era pronta a inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. Una riforma che fece poi un altro governo, prescindendo del tutto da quella inutile riunione estiva. «Noi ci saremo e faremo valere il rispetto della Costituzione», fanno sapere adesso i parlamentari grillini, contrarissimi all’invio delle armi in Iraq ma col problema di giustificare la prevedibile assenza del vicepresidente della commissione esteri della camera, Di Battista, l’autore della più riuscita provocazione agostana.

Nel frattempo l’aeronautica militare, che ha una base operativa negli Emirati Arabi, è già pronta a caricare i kalashnikov e le munizioni sequestrati in tanti anni di missioni nei Balcani: si tratterebbe di circa 30mila fucili d’assalto che i guerriglieri kurdi sanno bene come usare. In più l’esercito potrebbe privarsi di un buon numero dei vecchi mitragliatori Beretta Mg, armi che risalgono al dopoguerra. Chissà a quanto serviranno contro le sofisticate tecnologie americane che i miliziani islamici hanno sequestrato all’esercito regolare iracheno.