Produttore, bassista, compositore, cofondatore della ormai storica Materiali Sonori toscana con il fratello Giampiero, Arlo Bigazzi, classe 1960, è, da quasi mezzo secolo, figura centrale della scena musicale indipendente italiana. Una delle sue prime testimonianze discografiche fu un progetto a supporto delle parole del poeta cheyenne Lance Henson, oggi le relazioni tra parola poetica e musica hanno un posto centrale nelle sue attività. Specie da quando è arrivata la pandemia.

Il momento del lockdown: per molti isolamento, per altri iperproduzione, progettualità e ricerca di contatto anche a distanza con altri musicisti. Ci sembra che tu sia andato in quella direzione…
A febbraio 2020 stavamo iniziando a pianificare un progetto dedicato a Majakovskij. Cd per metà aprile, un po’ di date promozionali in primavera, altre per estate e autunno, stavamo pure chiudendo il libro Cantata per Vladimir Vladimirovic che rientrava nel progetto. Insomma, tutto procedeva. Poi è arrivato lo «tsunami» e dopo le prime settimane di disorientamento, pensai di reagire realizzando qualcosa con le persone che ho più vicino sul piano creativo. Non avevo un’idea precisa e, quando ci sentivamo, ci confessavamo che non avevamo alcuna voglia di suonare. Niente balconi, niente streaming. Su Facebook mi capitava di leggere post che descrivevano quanto stavamo vivendo. Scattò qualcosa. Pensai di metterli in musica. Chiesi a Mirco Salvadori, Maria Giovanna Geromel, Alessia Giovanna Matrisciano e a Sara Di Lello, che ne erano gli autori, di poter usare i loro testi. Buttai giù qualche idea e iniziai a rompere le scatole a Chiara Cappelli, Mirio Cosottini e Lorenzo Boscucci perché aggiungessero qualcosa di loro. Poi chiesi a Lorenzo Tommasini, che aveva mixato Majakovskij!, di occuparsene di nuovo. Dovevamo uscire dal torpore. Ci giurammo che non li avremmo mai eseguiti dal vivo e così nacque Solitarie Comunanze Digitali, titolo di Mirco che descriveva bene la condizione che stavamo vivendo. Dapprima pensavo di realizzare solo dei video per il canale YouTube della Materiali Sonori. Coinvolsi pure mio nipote Pierfrancesco e Daniele Casolino che avevano già realizzato video per il Majakovskij! e Giulio Dall’Aquila. Potevano lavorarci, seppur confinati, utilizzando «scampoli» d’immagini che di certo avevano negli hard disk. Ognuno di noi avrebbe avuto modo di partecipare con i mezzi, lo stato d’animo e la creatività che aveva in quei giorni. L’idea di farne pure un cd è venuta dopo. Portare a termine quei quattro brani si rivelò una fatica immensa. Forse era la certezza che ci sarebbe stato impossibile guardandosi negli occhi, discuterne al bar. Non lo so. Fu massacrante e credo sia stata solo la volontà di non spegnere il cervello che ci portò a terminarlo.

Più passano gli anni, più sembra che si precisi un tuo legame forte con la «parola poetica» e la poesia in genere. Una sorta di «comfort zone» dove sai muoverti e mobilitare idee e persone giuste…
Mi piace accompagnare la «parola parlata», poesia o prosa, e con gli anni ho anche imparato a coinvolgere le persone giuste. Il primo approccio fu con i Militia per Elvengamello. Un cd dove personaggi non umbri, ma che avevano scelto l’Umbria come terra d’adozione, narravano storie e leggende del territorio. Ci confrontammo con le voci di Pupi Avati, Philippe Leroy, Salvatore Sciarrino, Vincenzo Cerami. Poi venne l’album con il poeta cheyenne Lance Henson e Claudio Chianura, la produzione esecutiva per Materiali Sonori di Walk into My Voice di Harold Budd – dedicato alla beat generation – gli spettacoli dal vivo, come Senza padrone-Sogni e storie delle cooperative o Camicia Rossa-Canti e storie di quei ragazzi che fecero l’Italia, ideati da mio fratello Giampiero Bigazzi, gli spettacoli di Enrico Fink o con Chiara Cappelli. Ciò che spesso è chiamato teatro-canzone, dove si mescola recitazione e musica: ne ho fatti con Cantierranti, La Banda Improvvisa, Alessandro Benvenuti, Carlo Monni e altri ancora. Ho sempre approfondito e sperimentato, anche da sideman. M’intriga quanto la «parola parlata» e l’assenza di melodia diano la possibilità di esplorare territori musicali; cercare il suono giusto per quel determinato vocabolo, per quella frase; chiedersi continuamente «perché sto facendo questo, ha un senso con il testo e com’è recitato» mi piace, mi dà la percezione quello che faccio.

A questo proposito, il progetto «Majakovskij!» sembra davvero centrale…
Mi ha permesso di mettere in pratica idee che mi giravano in testa e, con Chiara Cappelli, abbiamo potuto approfondire molti aspetti che ci interessavano individualmente; tanto da poterlo poi definire «transmediale». Il progetto è stato un altro passo avanti nella nostra personale ricerca sulla «parola parlata» e non solo. Prima di tutto affrontare Majakovskij con una voce femminile non è comune, come non lo è soffermarsi a riflettere sul giovane Majakovskij, sul ragazzo, con le sue debolezze, i suoi entusiasmi, le sue delusioni, non il solito vate della Rivoluzione. Certamente non il più maturo, ma non era quello di cui volevamo raccontare. Poi, personalmente, ho avuto modo di azzardare arrangiamenti più complessi, con sonorità «piene», dove però la parola mantenesse un flusso continuo. Avevo un’idea musicale più vicina alla costruzione di una canzone. Nella realizzazione delle musiche, pur non rispettando il loro rigore, tenevo a mente la struttura di una canzone: introduzione, strofa, ritornello, bridge… Fu l’obiettivo che inizialmente ci demmo con Chiara che, per affrontare quel tipo di sonorità, ha dovuto fare un gran lavoro di preparazione. Ero stanco di quel «sottofondo idoneo» che spesso accompagna la recitazione, dove il musicista fa i cavoli suoi e l’attore pure. Volevo capire se io ero in grado di portare la «parola recitata» in un ambiente con un’attitudine «rock», per capirsi. Il Majakovskij! doveva suonare ed essere proposto come un vero e proprio concerto per qualsiasi palco. Lo abbiamo presentato nei luoghi più disparati e pure più disperati e anche facilmente dispersivi, che so, pubbliche piazze, e lo spettacolo è stato accolto con interesse. Accade spesso che il pubblico si rivolga a Chiara come se sul palco ci fosse una cantante ma che, in realtà, ha declamato senza nessuna melodia e con poche e brevi interruzioni per ottanta minuti. L’idea iniziale era di farne uno spettacolo semplice, un reading con dei video in rete, tanti quanti erano i vari momenti dello spettacolo. Ma è arrivato lo tsunami di cui parlavamo e ci siamo un po’ arrestati. È stato comunque un bel crescendo: dopo gli spettacoli hanno iniziato a chiederci il cd. Anche questa doveva essere una produzione semplice, ma si sono aggiunti ospiti come Mirko Guerrini, Blaine L. Reininger, Guido Guglielminetti, Michele Marini che ci hanno regalato creatività e tante di quelle note che ero stato costretto a sacrificare per «proteggere» il recitato. A quel punto a mio fratello Giampiero è venuta l’idea di realizzare un doppio album: un cd con la performance teatrale e uno strumentale ma con arrangiamenti e parti solistiche diverse. Nei dopo concerti hanno iniziato pure a chiederci il testo, per cui abbiamo deciso di approfondire la figura di Majakovskij pubblicando un libro che contiene inoltre cinque poesie anch’esse tradotte da Chiara che non sono rientrate nello spettacolo e contributi di Mirco Salvadori, Francesco Forlani, Giampiero Bigazzi, Daniele Corsi, Fausto Malcovati e il compianto Luciano Del Sette, che ha anche proposto due brevi graphic novel. La prima è la ricostruzione del funerale per opera di Monica Zeoli; l’altra è una libera interpretazione di Riccardo Cecchetti del suicidio di Majakovskij. Nonostante il brutto scherzo del Covid, siamo pure riusciti a realizzare un altro volume, pubblicato dalla Silentes, che procede nella transmedialità del progetto, dove Lucia Baldini, con le sue foto, interpreta liberamente la poesia Ascoltate! e accompagnato da un cd realizzato con Flavio Ferri dove, oltre a due inediti, abbiamo destrutturato cinque brani dall’originale trasformandoli totalmente.

Arlo Bigazzi e Chiara Cappelli

 

LA BIOGRAFIA
Di Arlo Bigazzi (San Giovanni Valdarno, 1960) le fonti ufficiali dicono che pratica piste musicali «non facilmente inquadrabili», avendo sperimentato in ambito art rock, post progressive, ambient, folk, nella canzone d’autore a forte connotazione sociale e politica, nel kraut rock elettronico tedesco, nella musica per bande, nel jazz rock. Agli inizi degli anni Ottanta è produttore dei primi lavori dei Diaframma di Fiumani, altre produzioni più lontane riguardano Novalia, Luis Rizzo, Arturo Stàlteri, mentre del 1976 è la fondazione col fratello Giampiero dell’etichetta indipendente Materiali Sonori, anche distributrice di realtà discografiche europee indipendenti, a partire dalla Crammed Discs. Ha collaborato con un’infinità di musicisti, tra gli altri Roedelius, Christian Burchard, Riccardo Tesi, Roger Eno, Blaine L. Reininger, Frank London, Raiz, Nicola Alesini, Harmonia Ensemble, Mirio Cosottini.