Nel 1975 nell’album dal vivo Are(A)zione degli Area, Demetrio Stratos presenta così il brano La mela di Odessa: «Questo pezzo trae spunto da un fatto successo nel 1920, cioè quando un artista, un dadaista di nome Apple (così verrà sempre riportato nei libri e negli articoli, per evidente assonanza con il titolo, ndr) dirottò una nave tedesca regalandola ai russi, che avevano appena fatto la rivoluzione. La portò a Odessa, i russi fecero una grandissima festa, fecero saltare sia la nave sia i tedeschi, e questo pezzo si chiama La mela di Odessa». Un fatto – che ci riporta anche alla tragica realtà che sta vivendo ancora oggi la città sul Mar Nero – cruento e decisamente rilevante: il sequestro di una nave e l’affondamento della stessa con l’equipaggio a bordo avrebbe causato ripercussioni diplomatiche piuttosto gravi pur in un periodo in cui la Russia, futura Unione Sovietica, viveva ancora una forte instabilità, sia per la guerra in atto contro la Polonia, che per la resistenza «bianca» contro i bolscevichi e vari altri focolai di rivolta, specie in Caucaso.
Anche in Germania è un periodo di turbolenze sociali. Ma nessuna fonte storica riporta l’evento, né si trova traccia dell’artista dadaista Apple. A cosa si riferisce il testo? Il brano è firmato, come nella maggior parte della produzione degli Area, da Ares Tavolazzi, Paolo Tofani e Patrizio Fariselli ma i testi pare fossero farina del sacco di Gianni Sassi, produttore e «ideologo» del gruppo. Come ha direttamente confermato, interpellato specificatamente, Paolo Tofani: «I testi li faceva Gianni Sassi e anch’io ho le informazioni che si trovano in giro, non ne so di più».

METAFORE
Il testo è molto interessante nel suo contrapporre il presunto artista Apple (la mela del racconto) con la foglia (la supposta nave tedesca, fatta poi esplodere a Odessa) e riempire di metafore il racconto, dal «mondo che diventa mancino», «giallo di grano» e «pieno di gente felice». Dal vivo gli Area aggiungevano un tocco di teatralità facendo una pausa in cui Patrizio Fariselli mangiava una mela (come si evince da una foto all’interno di Are(A)zione e dalla registrazione live del brano). «C’era una volta una mela a cavallo di una foglia. Cavalca, cavalca, cavalca, insieme attraversarono il mare, impararono a nuotare. Arrivati in cima al mare dove il mondo diventa mancino la mela lasciò il suo vecchio vestito e prese l’abito da sposa più rosso, più rosso. La foglia sorrise, era la prima volta di ogni cosa, riprese la mela in braccio e partirono. Giunsero in un paese giallo di grano pieno di gente felice, pieno di gente felice! Si unirono a quella gente e scesero cantando fino alla grande piazza, qui altra gente si unì al coro “Ma dove siamo? Ma dove siamo?” chiese la mela, “Se pensi che il mondo sia piatto Allora sei arrivata alla fine del mondo, se credi che il mondo sia tondo allora sali, e incomincia un giro tondo!” E la mela salì, salì, salì, salì, salì, ,a foglia invece salutò, salutò, salutò, rientrò nel mare e nessuno la vide più, forse per lei, mah, il mondo era ancora piatto. Vicino al mare dove il mondo diventa mancino Se credi che il mondo sia tondo, allora sali, sali! E incomincia il giro tondo!».
Gli Area hanno sempre giocato con i testi e le parole per rimanere in difficile (se non precario) equilibrio tra una militanza politica sempre palesata e praticata («Lavoravamo con Lotta Continua e non ci davano niente, quelli del Movimento quando chiedevi un rimborso storcevano il naso, c’erano gli autonomi, la musica gratis» – Paolo Tofani da un’intervista a Rolling Stone) e la volontà di andare liricamente oltre i prevedibili slogan. La canzone è particolarissima e originale; dopo un inizio free di circa tre minuti ne seguono quasi quattro di funk rock (apparentemente) lineare (in realtà è un complesso tempo in 10/4) con tanto di fiati dissonanti e il racconto teatrale di Demetrio Stratos a cui fanno da accompagnamento suoni e piccoli «sketch» sonori che rendono il brano una piccola pièce cabarettistica. Il gruppo cercava di cambiare direzione dopo i primi due album Arbeit Macht Frei e Caution Radiation Area, in cui operavano in un contesto sonoro sperimentale, free jazz, fusion, dove si innestavano musica mediterranea e tempi spezzati e complessi, mutuati dalla tradizione balcanica e in cui giocava un ruolo decisivo un uso avanguardistico dell’elettronica, sia con le tastiere di Fariselli che con la chitarra filtrata nel sintetizzatore di Tofani, su cui Demetrio Stratos furoreggiava con le sue ardite evoluzioni vocali.

VERSO IL POP
Con Crac! gli Area cercano di allargare gli orizzonti, provando anche vie più (moderatamente) pop. Ricordiamoci che i componenti avevano vissuto i recenti anni Sessanta all’interno della scena beat: Stratos con i Ribelli con cui trovò il successo con Pugni chiusi, Tavolazzi con gli Avengers e Carmen Villani per poi approdare a contaminazioni più ardite con i Pleasure Machine e i Giganti, Paolo Tofani, prima di esplorare nuovi confini sonori in Inghilterra (dove collaborò con il fratello di Steve Winwood, Muff e suonò in numerose jam con il giovane Robert Fripp) si fece un po’ di Cantagiro con i Samurai e i Califfi, Giulio Capiozzo suonava con la Bo Bo’s Band. Alcuni elementi delle esperienze passate emergono in Crac!, soprattutto in quello che rimane il loro brano più famoso, Gioia e rivoluzione, con un riff di chitarra e un ritornello che hanno un gustoso sapore anni Sessanta, solare e pulsante. «Finora abbiamo fatto tre dischi e sono tre cose differenti. Con Crac! abbiamo voluto avere un maggiore rapporto comunicativo con una grande massa, vogliamo aprire un dialogo sempre maggiore ma senza contenuti di grande faciloneria artistica»(Patrizio Fariselli da Il crac dopo la rivoluzione di Armando Gallo).
Tornando al «mistero» de La mela di Odessa probabilmente una soluzione ci arriva proprio da Fariselli che in una recente intervista parla di essere al lavoro per dare un seguito proprio al brano in questione, con il titolo de La foglia di Murmansk. Ed è a questo punto che finalmente le cose sembrano chiarirsi un po’ meglio. Non è mai esistito un dadaista di nome Apple ma un rivoluzionario tedesco di nome Jan Appel invece sì. E nella primavera del 1920 fu invitato dai comunisti sovietici a discutere dell’affiliazione del suo neonato Kapd (Partito comunista tedesco dei lavoratori). Racconta Appel nella sua autobiografia: «Era impossibile per noi fare la strada via terra e anche il passaggio attraverso il Mar Baltico era chiuso. L’unica rotta disponibile aperta passava attraverso il Mare del Nord e l’Atlantico, costeggiando la Norvegia e Capo Nord e quindi nell’Oceano Artico, per raggiungere Archangelsk e forse Murmansk. Eravamo però incerti se fossero in mano ai bolscevichi». Così Appel e un compagno salirono da clandestini su una nave, arrestarono in viaggio il capitano, presero il comando, costeggiarono il nord della Scandinavia, entrarono fortunosamente in un fiordo: «Finalmente vedemmo una grande bandiera rossa, eravamo arrivati nella terra dei comunisti. Fummo accolti come compagni e da allora in poi viaggiammo sulla ferrovia, costruita durante la guerra, fino a San Pietroburgo». Arrivarono anche a Mosca e furono ricevuti da Lenin. Dunque nessuna nave tedesca saltata per aria a Odessa ma un viaggio avventuroso e incosciente a Murmansk, altrettanto epico e che getta nuova luce sull’annosa questione. Gianni Sassi quando scrisse il testo prese evidentemente spunto da un fatto realmente accaduto ma lo romanzò a suo piacimento per renderlo più letterario ma soprattutto più creativo, geniale, provocatorio, nel suo perfetto stile artistico.