Era il 2005 quando la Manifesto Dischi pubblicò un album che sembrava quasi un azzardo, un disco di canzoni tradizionali romane, rielaborate e riadattate in una veste folk blues cupa e perché no psichedelica, da un nuovo gruppo, anzi, una sorta di supergruppo, dal nome – altrettanto romano -, dalla valenza e dai significati multipli: Ardecore. Quella band, guidata dal cantautore folk capitolino Giampaolo Felici, vedeva i tre componenti degli Zu – Jacopo Battaglia, Massimo Pupillo e Luca Mai – insieme a Geoff Farina della band statunitense Karate, a Luca Venitucci e Valerio Borgianelli, e quell’album riscosse un successo decisamente oltre le aspettative, lanciando gli Ardecore nella scena alternativa italiana e rilanciando la canzone tradizionale romanesca, per troppo tempo quasi dimenticata. Oggi gli Ardecore ci sono ancora, con alcuni cambi di line-up (la formazione live comprende, oltre al leader, Adriano Viterbini, J. Battaglia, Ludovica Valori, Giulio Ragno Favero, Marco Di Gasbarro e Gianluca Ferrante), e dopo un periodo di silenzio lungo sette anni sono tornati a incidere e pubblicare un nuovo lavoro, un progetto ampio basato sui sonetti del più grande poeta, insieme a Trilussa, che la Capitale possa vantare, Giuseppe Gioachino Belli. Il progetto, che per il momento è rappresentato da un primo volume «sonoro» e sarà a breve seguito da un secondo album e da un libro, ha preso vita grazie proprio alla pervicacia e all’amore per le sue origini del leader Giampaolo Felici, che abbiamo incontrato per farci raccontare la genesi del nuovo lavoro, partendo però da quel lontano 2005, e da quella fortunata collaborazione con la Manifesto Dischi: «Intorno al 2002-2003 mi era balenata questa idea di rielaborare alcuni brani della tradizione romana, ne parlai con Geoff Farina che si è fatto coinvolgere al punto da “imbarcare” nell’avventura gli Zu, band punk jazz romana più nota oltreoceano che da queste parti. Era un’idea un po’ strana, un azzardo, sicuramente, perché in quel momento andare a recuperare brani della tradizione romana e riportarli in una dimensione noir, scura, blues, non era un solco esistente, poteva essere un rischio, non sapevamo quale potesse essere la risposta del pubblico. Una volta registrato il disco uno dei primi passaggi fu di mandarlo alla Manifesto Dischi, dove c’era Michela Gesualdo che gestiva un po’ tutto; la cosa piacque molto, così ci incontrammo in redazione, a via Tomacelli, e firmammo un contratto rapido. Fu un successo incredibile e inaspettato, vendemmo moltissime copie e il disco rimase ai primi posti delle chart indipendenti per circa un anno e mezzo. Da lì tutto è partito».
Il nuovo progetto ha visto la fattiva collaborazione di Marcello Teodonio, il più importante e noto esperto del Belli, presidente del centro studi dedicato al poeta ottocentesco: «Teodonio è una figura fondamentale per questo lavoro – annuisce Felici -. Il professore si è reso subito molto disponibile, sebbene abbia una visione del Belli completamente diversa da quella che abbiamo portato. Quando gli abbiamo chiesto di scrivere una prefazione per quello che uscirà come cartaceo, un libro con anche un QR code per ascoltare i brani, rispose che avrebbe voluto ascoltare prima i pezzi, ma noi non volevamo che parlasse di noi e del Belli, ma solo del poeta, perché Marcello Teodonio in questo progetto è parte integrante degli Ardecore, è un membro della band a tutti gli effetti, quindi volevamo che scrivesse del Belli, non della band e dei brani. La sua introduzione parla della figura del Belli come maestro di lingua romana».
Prima del libro uscirà anche un secondo volume di 996. Le canzoni di G.G. Belli, sempre per La Tempesta Dischi di Davide Toffolo, anche lui coinvolto nel progetto: «Sì, e il libro comunque conterrà entrambi. Il secondo volume sta per uscire e ti anticipo che sarà molto più vicino ai primi Ardecore di quanto non lo sia il primo». In effetti le differenze appaiono chiare, musicalmente parlando, perché laddove ci si cimentava con brani già esistenti, seppur rivisti e corretti, qui bisognava dare una veste musicale a dei sonetti: «Il sonetto – conferma l’artista romano – ti porta ad avere una struttura diversa, a meno di non stravolgerlo ripetendo le frasi, ma non avrebbe avuto alcun senso. L’idea era proprio di mantenere, anche musicalmente, quella struttura di due quartine, due terzine, 14 versi, 154 sillabe; siamo rimasti attaccati alla radice dell’idea, quindi la struttura è diversa, non ritorna mai ma puoi crearne più d’una. Per noi che abbiamo avuto sempre un approccio progressivo alla musica e al testo, è stato quasi più facile, è stato un modo paradossalmente tradizionale di fare una cosa progressiva, una sorta di sintesi di quello che a noi viene più “comodo”».
A un primo sguardo potrebbe sembrare una lingua «diversa», e in buona parte lo è, rispetto a quella che si usa oggi, e ci è sembrato interessante sapere dal cantante e chitarrista se e quali difficoltà avesse incontrato: «In realtà per quel che riguarda l’espressione dialettale non ci sono molte differenze. Può sembrare difficile perché ha una lettura strana, che è data dal fatto che è scritto esattamente come si pronuncia, come la famosa “c strascicata”, quel modo tutto romano di pronunciare la lettera ‘c’ quasi come se fosse preceduta da una s; ad esempio, Er codisce novo (uno dei brani presenti sul disco, ndr), dove il “codice” nella lingua parlata diventa “codisce”, e così il Belli lo scrive. Il primo impatto con la poesia del Belli può essere difficile ma una volta che capisci quello che hai letto, a noi romani viene facile interpretarlo. Ed è stato un po’ anche questo il motivo per cui abbiamo deciso di dare vita a questo progetto, è l’immagine di una Roma che da lì a pochi anni andrà a scomparire, ed è il motivo per cui il Belli è diventato così importante per la cultura di Roma, perché è stato l’ultimo a fotografarla, prima che tutto cambiasse, prima che dallo Stato pontificio divenisse Capitale dell’Italia unita. Lui non parla per sé, non racconta come lui vede Roma, ma ne diventa quasi un cronista. Sfrutta quella musicalità che ha il popolo romano nel parlare, specie allora; l’espressività del romanesco è talmente musicale che viene quasi automatico pensare a una poesia. Credo che tutte le forme gergali e dialettali siano metricamente più valide dell’italiano, che per forza di cose è una lingua di regole, nata per far scomparire l’analfabetismo del popolo, nel momento in cui il paese veniva unificato. È un po’ il rapporto che c’è tra l’inglese e lo slang americano, l’americano se vuoi può sembrare che “ciancichi” (forma gergale romana per “masticare”, ndr), ma quando parla è molto più fluido dell’inglese. Nei dialetti c’è una fluidità che se vai a trasporla in una canzone viene molto più facile creare un testo metricamente valido. L’aspetto fantastico del Belli è essere riuscito a trovare chicche di poesia e di arte dentro passaggi di materialità, perché se vuoi il “popolo” è sempre molto grezzo e materiale, non bada alla forma. Ma in questo “ciancicare” lui ha trovato, e qui il genio, delle forme eccezionali. I nomi dei personaggi che cita diventano rappresentativi di quello che sono, ad esempio “Sor E’”, è come dire “’sto ca..o”! O monsignor Magnelli, che è la metafora del governo pontificio, che qui viene rappresentato come un “magna magna”, cosa che ritrovi anche nella letteratura americana, o nei testi di Nick Cave. E ritrovarla duecento anni prima ti dà un’idea di folk che andrebbe sfruttata. Nel nostro piccolo il senso di questo progetto è proprio questo, andare a prendere la nostra letteratura e farla diventare un’operazione particolare, inusuale, quasi come se questi brani già esistessero, ho cercato di crearli proprio in modo che potessero sembrare arrivare da quel periodo, anche se questa cosa si nota più sul secondo volume rispetto al primo».

LA BIOGRAFIA
Gli Ardecore nascono a Roma nel 2004 da un’idea del cantautore folk capitolino Giampaolo Felici. Il loro primo album, omonimo, pubblicato l’anno successivo dalla Manifesto Dischi, riprendeva in una chiave folk blues molto oscura alcuni dei brani più importanti della tradizione musicale romana, ed ebbe un successo inaspettato lanciando la band, di cui facevano parte – tra gli altri – i tre membri degli Zu (gruppo romano jazz punk molto apprezzato oltreoceano) e il chitarrista statunitense Geoff Farina, leader della band Karate, sulla scena alternativa italiana. Dopo altri tre lavori, una Targa Tenco per l’album Chimera, e una pausa di sette anni, Giampaolo Felici e compagni sono tornati sulle scene con 996. Le canzoni di G.G. Belli, un progetto – due album e un libro – dedicato interamente ai sonetti del grande poeta ottocentesco romano.