C’era anche la torta con il brindisi, alla fine, a disorientare i commessi della Camera nella sontuosa sala della Regina di Palazzo Montecitorio, ieri, al sessantesimo compleanno dell’Arci. Torta offerta dall’Arci nella sala concessa dalla presidente della Camera Laura Boldrini, che in cambio ha ricevuto in dono una tessera onoraria. Torta mimosa, proprio come nelle feste dei bambini, anche se l’Associazione ricreativa culturale italiana – nessuno ha più chiamato l’Arci così da almeno mezzo secolo – ormai bambina non è più, anzi, è una «storica» realtà dell’associazionismo italiano.

L’ATTO DI NASCITA risale al primo statuto approvato nel Palagio di Parte Guelfa a Firenze il 26 maggio 1957, dal ceppo antico delle mutualismo operaio e contadino ottocentesco e dalle case del popolo bruciate e requisite dal fascismo, liberate dal Cln e tornate a lustro dopo una battaglia politica e di carte bollate durata anni con l’Enal, erede del dopolavorismo statale con l’impronta del Ventennio.

Dall’albero-madre Arci nei decenni sono germogliate associazioni-figlie – la confederazione adesso ne copre 4.723 con 1 milione e 100 mila soci -, alcune rimaste ad accrescere le fronde come l’Arci-Gay, altre cresciute su un tronco autonomo come Legambiente, Lila, Slow Food (trasformazione di ArciGola) e tante altre magari meno famose.

Sessant’anni di storia patria, vissuta dal basso, «nei territori», sempre «con le porte aperte», attraverso il modello dell’autorganizzazione, alla conquista di un modo solidale di vivere spazi per il tempo libero, «libero dal padrone, dalle imposizioni del regime» ha ricordato l’attuale presidente Francesca Chiavacci, con il laicismo tra i valori fondanti, perché allora, quando l’Arci nacque facendo «storcere la bocca a molti intellettuali»- ha ricordato la presidente onoraria Luciana Castellina – «dopo le elezioni del 1948 il mondo era diviso tra Pci e Psi da una parte e gli altri dall’altra, una divisione che era di classe» con il tempo libero che pareva un’invenzione borghese mentre conquistare un campetto per giocare a pallone, una pista da ballo, un’arena per il cinema all’aperto, diventavano rivendicazioni centrali.

LA TRASFORMAZIONE, la prima, fu negli anni Settanta, quando il mondo Arci si lasciò attraversare e si rese permeabile alle idee nuove, scoprendo l’ecologia e le rivendicazioni di diritti basati sulle scelte sessuali, dando spazio alla ricerca musicale, come Moni Ovadia celebra dei suoi esordi con il gruppo L’Orchestra ospite fisso dell’Arci-Bellezza di Milano e poi con gli Stormy Six.

Seguì negli anni Ottanta l’ondata del pacifismo di Tom Benetollo sfociata in quel miscuglio di culture alteromondiste dei Social forum che secondo Castellina costituiscono ancora oggi «l’unico soggetto collettivo di tipo europeo, su cui si può pensare di ricostruire un’Europa diversa». Un ruolo fondamentale se è vero che, come l’Alta Corte tedesca ha più volte ribadito, «non ha fondamenta l’Europa senza corpi intermedi europei».

INFRASTRUTTURA IMMATERIALE – e anche materiale visto il radicamento dei circoli sparsi per tutto il Paese – l’Arci fu ed è parte attiva di quel movimento e può oggi, secondo la presidente Laura Boldrini, servire da «cura alla stanchezza della democrazia», risvegliare dall’indolenzimento della coscienza civile di fronte ai tanti morti «per terrorismo e per mare», servire come organizzazione di resistenza della cittadinanza attiva nelle periferie abbandonate dai partiti, «che non riescono più a incanalare le istanze delle tante situazioni difficili, mentre l’associazionismo è ancora vivo».
UN’ALTRA STAGIONE si apre, tra le passioni tristi, per i volontari dell’Arci. Carlin Petrini, che con Slow Food e Terra Madre ha ora una rete di cooperative e associazioni in 170 paesi, nel suo video-messaggio all’astronave-madre, pronostica: «L’Arci è un patrimonio del nostro Paese e con i suoi legami di fraternità saprà essere ancora propositivo, utile, di fronte a quella che sarà sempre più la nuova sfida, l’invecchiamento della popolazione, a cui forse solo l’immigrazione potrà dare una risposta».