Con un due a zero maturato nei tempi supplementari l’Algeria si è aggiudicata la decima edizione della rediviva Arab Cup, nella finale andata in scena sotto natale in Qatar, presso l’Al Bayt Stadium nella città di Al Khor, a nord della capitale Doha. Ad avere la peggio, all’interno del campo di gioco che ospiterà la partita inaugurale dei Mondiali (calcio d’inizio previsto il ventuno novembre), è stata la Tunisia. La cronaca sportiva racconta di uno 0-0 incolore, sbloccato grazie alla realizzazioni firmate al novantanovesimo da Amir Sayoud e al centoventicinquesimo da Yacine Brahimi. A piegare la resistenza della aquile di Cartagine è stata la rete di Sayoud, misconosciuto trequartista trentunenne con poche presenze in nazionale e spesso in panchina, che è entrato per sempre nella storia del calcio del suo paese grazie a un imprendibile sinistro al volo da fuori area. L’incontro tra Algeria e Tunisia è sembrata la versione migliore della tendenza comune a tutte le partite della competizione, dove si sono alternati momenti di bel gioco, sopratutto in fase di costruzione e gestione del possesso palla, a inguardabili strafalcioni tecnici.

Oltre le due compagini che hanno sicuramente proposto il miglior calcio del torneo, va menzionata anche la finale per il terzo e quarto posto svolta lo stesso giorno tra Qatar ed Egitto, che ha visto prevalere i padroni di casa alla lotteria dei rigori per cinque a quattro, dopo aver portato a termine il tempo regolamentare a reti inviolate. Risultato relativamente sorprendente: da anni sull’intero movimento calcistico nazionale sono stati fatti investimenti mirati per far crescere una valida generazione di calciatori, come dimostrato dall’attaccante Akram Afif e dal portiere Meshaal Barsham. A confermare la prevalenza dello squadrone algerino sono stati anche i premi per i migliori giocatori della coppa: l’ala sinistra Yacine Brahimi ha vinto il Golden Ball, il fantasista Youcef Belaili il Silver Ball, il portiere Rais Mbolhi il Golden Glove al miglior estremo difensore.

Oltre il calcio
Le mere considerazioni sportive e tecnico-tattiche, non vanno sottovalutati diversi giovanissimi di valore sparsi nelle varie nazionali, raccontano soltanto una parte dell’evento: va rammentato che la Arab Cup è stata un banco di prova per i prossimi Mondiali, logistico e organizzativo, ed è stato indicata da molti osservatori come un tentativo di coprire le critiche che piovono da più parti riguardo alle numerose morti bianche nei cantieri ancora aperti in vista di Qatar 2022.

Altra considerazione da aggiungere è quella che riguarda la costante crescita in chiave geopolitica del piccolo ma ricchissimo emirato guidato da Tamim bin amad Al Thani. Che l’Arab Cup abbia quindi rappresentato un’abile ed accurata operazione di social washing, appare evidente. Basta guardare al valore economico della manifestazione, imparagonabile per investimenti rispetto alle passate edizioni: nata nel 1963, dopo le prime tre versioni, ha avuto uno lungo stop fino al 1985, per poi continuare senza una effettiva regolarità fino al 2012, sotto la bandiera della defunta Union of Arab Football Associations (Uafa). Questa decima edizione è stata invece la prima organizzata direttamente dalla Fifa del presidente Gianni Infantino (molto criticato per la sua direzione della massima organizzazione calcistica mondiale), con un conseguente cambio di passo anche dal punto di vista del volume di investimenti internazionali sulla competizione.

La retorica nazionalista qatarina, cui è stata data una consistente eco dai media locali, è stata presente dall’inizio alla fine della manifestazione, conclusa con la fase finale andata in scena nei giorni dell’anniversario dell’indipendenza nazionale, nella cornice dagli scenari ipertecnologici e delle meraviglie architettoniche realizzate per i Mondiali.

Prese di posizione
Al termine della finale il coach algerino, Madjid Bougherra, si è così pubblicamente espresso: «Dedichiamo la Arab Cup al popolo palestinese e alla nostra gente a Gaza». Non è stato né il primo né l’ultimo, in quanto già nei giorni precedenti i suoi atleti, immediatamente dopo la vittoria con il Marocco, avevano già manifestato supporto alla causa palestinese sventolando la bandiera a fine match. Non si tratta di una nuova presa di posizione, basti rammentare come la stella della squadra Riyad Mahrez qui assente, in passato abbia già espresso tale solidarietà. Tornando alla finale, oltre alle numerose bandiere palestinesi sventolate sia dal pubblico tunisino che algerino che sono andate ad aggiungersi a quelle indossate dai giocatori di Bougherra durante la premiazione, si sono segnalati anche altri gesti eclatanti.

Venerdì 17 dicembre a Doha è andata in scena una partita spettacolo tra ex calciatori divisi tra «Fifa World Legends», con Andrea Pirlo, Cafu, Yaya Toure e Marcel Desailly, contrapposti alle «Fifa Arab Legends» che includevano tra i vari anche Houssin Kharja e lo stesso Infantino; ad arbitrare Matteo Busacca e Pierluigi Collina. La protesta è stata duplice, in quanto tre calciatori algerini Rafik Saïfi, Rafik Halliche e il leggendario Rabah Madjer – detto «il tacco di Allah»- hanno rifiutato di participare perché il loro team vedeva come allenatore l’israeliano Avram Grant, mentre il saudita Al-Temyat ha cancellato la bandiera israeliana dalla sua casacca.

A sostenere e gioire per le vittorie delle volpi algerine, sono stati, ben lontani dai riflettori del Qatar, anche i Saharawi. Oltre che i festeggiamenti nei campi profughi attorno Tindouf, numerose sono state le manifestazioni svoltesi nelle città dei territori occupati, in particolare dopo la partita Marocco Algeria dell’11 dicembre. Proprio in quell’occasione le forze di sicurezza marocchine hanno arrestato ad El Aaiun il giornalista saharawi Al-Wali Hammad, direttore dell’agenzia stampa Nushatta Foundation for Media and Human Rights, mentre filmava le manifestazioni di protesta in corso in città. Condotto incappucciato in caserma è stato manganellato, torturato e interrogato durante la notte, fino al rilascio avvenuto il mattino successivo.