«La mattina quando ci si sveglia e c’è quella specie di foschia sul Corno d’Oro, coi minareti che ne emergono nitidi e snelli, lanciati verso il sole e il muezzin chiama i fedeli alla preghiera con una voce che s’innalza e s’affloscia come un’aria d’opera russa, allora si può capire la magia dell’oriente», scriveva Ernest Hemingway di passaggio per Istanbul in Old Costan, l’articolo pubblicato il 28 ottobre 1922 sulla testata canadese The Toronto Daily Star.

Innegabile il fascino malinconico intercettato dallo sguardo del visitatore, in cui il passato sfavillante si ritrovava (è così ancora oggi ma in un’ottica diversa) a fare i conti con un presente decadente. Sarebbe però semplicistico definire Istanbul unicamente come una meta per viaggiatori di ogni specie, infatti questa città antichissima è sempre stata qualcosa di più: fonte d’ispirazione, musa.

Una considerazione che trova conferma nelle testimonianze di grandi personaggi di tutte le epoche, autori di memoir e appunti di viaggio spesso rielaborati e restituiti in altre forme creative, come De Amicis, Loti, Agatha Christie, Le Corbusier e moltissimi altri ancora. Ma quando le parole si riflettono nelle immagini fotografiche con un’intensità che va oltre la sfera personale, come nel binomio Ara Güler/Orhan Pamuk, allora l’incanto non ha più paura del tempo. Una complicità dello sguardo dovuta alla comune visione umanistico-sociale consolidata dalla lunga amicizia tra il fotografo (noto anche come «L’occhio di Istanbul») e lo scrittore, confluita in diverse collaborazioni. Tra queste il libro Istanbul. I ricordi e la città (2003) di Pamuk e come in un gioco di specchi Istanbul (2009) di Ara Güler, in cui le parole dell’uno entrano reciprocamente nel campo visivo dell’altro, frutto di ore ed ore trascorse insieme, soprattutto nello studio/archivio di Güler a Beyoglu.

«Le immagini in bianco e nero di Ara Güler mostrano Istanbul come una città dove i panorami sono eccessivamente simili ai volti della sua gente, e il vecchio e il nuovo si uniscono in una trama di degrado, miseria e umiltà all’interno di una tradizione che continua nonostante gli sforzi di occidentalizzazione: è un lavoro che, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, ha evidenziato, con una sensibilità molto poetica, il tessuto particolare della città nato dal declino della pomposità del passato e degli edifici statali, opere dell’occidentalizzazione ottomana», scrive Pamuk. La città che, in una sorta di osmosi, appartiene all’uno quanto dell’altro diventa quasi un set cinematografico rivelando l’influenza della componente teatrale e cinematografica nel nucleo di fotografie che Ara Güler (Istanbul 1928-2018) realizza a partire dal momento in cui è consapevole delle potenzialità del mezzo fotografico.

In realtà, il giovane studente universitario di economia, dopo essersi diplomato nel ’51 al Liceo Armeno Getronagan, prima di scegliere la strada del fotogiornalismo con la sua aspirazione ad essere strumento di testimonianza e divulgazione, si lascia catturare proprio dal fascino del teatro, seguendo i corsi di recitazione di Muhsin Ertugrul. «Attraverso il teatro ho cominciato a vedere l’interiorità degli uomini. Quando facciamo un ponte tra il teatro e noi stessi cominciamo a sviluppare i nostri sensi», disse nel 2011, in occasione della nostra intervista raccolta nel suo studio a Beyoglu, accanto al Cafe Ara. Quanto al cinema, altra sua grande passione, avrebbe voluto fare il regista «ma la fotografia offre più possibilità di sguardi sul mondo, per cui ho seguito il mio sogno di visitare nuovi paesi». Nel 1950 inizia a collaborare con il giornale Yeni Istanbul e nel giro di pochi anni è corrispondente per Time Life, Paris Match e Stern e direttore della sezione fotografica della rivista Hayat. Oggi il suo lavoro (oltre due milioni di fotografie) è conservato nel Museo e nell’Archivio e Centro di Ricerca Ara Güler a Istanbul, entrambi inaugurati il 16 Agosto 2018 in occasione del novantesimo compleanno del fotoreporter.

Da lì proviene la mostra monografica itinerante Ara Güler, allestita negli spazi del Museo di Roma in Trastevere, realizzata in collaborazione con il Museo e l’Archivio e Centro di Ricerca Ara Güler (fino al 20 settembre) che, malgrado l’odore di propaganda dell’operazione (sostenuta dalla Presidenza della Repubblica di Turchia), la mancanza di uno sguardo critico-curatoriale, la scarsa qualità della stampa delle fotografie (riprodotte in una dimensione amplificata rispetto ai vintage) e l’approssimazione delle didascalie con la galleria di ritratti in bianco/nero e a colori che reca solo il nome delle celebrità – da Giulietta Masina a Federico Fellini, Nazim Hikmet, Âsik Veysel, Kim Novak, Jean Renoir, Henri Cartier-Bresson, Raghu Rai, Brigitte Bardot, Sophia Loren, Dalì, Picasso ed altri ancora – senza l’indicazione di luogo e data, grazie alla forza di queste immagini riesce a restituire l’autenticità di un’epoca.

L’attenzione al reale, una costante nel lavoro che lo accompagnerà per tutta la vita – egli condivide, inoltre, la poetica dell’«attimo fuggente» di Cartier-Bresson: di persona i due si conoscono a Parigi nel 1961 ed è proprio il fondatore della Magnum ad invitare il fotoreporter turco a far parte della grande agenzia fotogiornalistica – è annunciata già dalle prime foto (datate 1954-55) dove l’essere umano entra nel tessuto narrativo di una quotidianità che intercetta la dimensione estetica. Attraversando tutti i quartieri – da Eminönü a Zeyrek, da Galatasaray a Tahtakale, da Kumpkapi a Karaköy – Ara Güler racconta le partenze (come in quella straordinaria immagine a Galata che mostra l’uomo che dall’oblò della nave allunga il braccio per afferrare qualcosa che gli porge la donna di spalle, con il fazzoletto in testa), il lavoro (i pescatori, le reti, le barche), la neve, i piccioni, i bambini, i tram. «Sono cresciuto ad Istanbul.» – afferma – «Conosco bene i tram che girano gli angoli ed il rumore delle ruote di ferro che scorrono borbottando sulle rotaie». Il ritmo metallico del movimento dei tram accompagna il suo sguardo, esteso a quello dell’osservatore, accarezzato dalla risacca delle onde che increspano il Bosforo e, talvolta, dal suono ovattato della neve che congela per sempre il momento.

Il Museo di Roma in Trastevere riapre al pubblico dal 2 giugno con prenotazione obbligatoria al numero 060608 oppure online sul sito www.museiincomuneroma.it.