Sarantis Thanopulos: «L’attesa non sembra godere di buona salute, Ginevra. È profondamente minata dall’impulso ad agire, cioè dalla coazione a ripetere, a riprodurre la stessa cosa.
Si potrebbe dire che il rifiuto della sorpresa, del non previsto, del non già vissuto, determini un’eclissi della disponibilità a sostare nella prefigurazione di un evento attendendo il suo compimento, sapendo in partenza che prefigurazione e realizzazione non coincideranno. Cosa sarebbe infatti l’attesa senza l’inatteso – l’incombere di una delusione, l’autonomia del compimento, la possibilità di un’irruzione dell’imprevisto – che le dà profondità, complessità e significato vero di esperienza?

Nel tuo libro intitolato, appunto, L’attesa (edizioni et.al, 2011) parli della trasformazione, che avviene nel Novecento, della coppia più armonica “Attesa e Compimento” nella coppia sincopata “Attesa e Sorpresa”. Non pensi che seppure smentisca l’attesa, la sorpresa, al tempo stesso, la compia?».

Ginevra Bompiani: «Il libro che ho scritto nel 1988 (e poi riscritto nel 2011), partiva da una frase di Wittgenstein “Noi aspettiamo questo e siamo sorpresi da quello” (Ricerche Filosofiche), e cioè dalla constatazione che non è l’atteso quello che si affaccia alla nostra porta, ma l’ospite.

Questo è oggi di una verità sconvolgente, e così pure la convinzione che è l’ospite che dobbiamo accogliere, invece di continuare ad aspettare l’atteso, che anche se arrivasse, non sapremmo con tutta probabilità riconoscere.

Oggi, se dovessi scriverlo una terza volta, mi farei guidare dai meravigliosi versi di Euripide: “Gli dèi ci preparano alle sorprese: l’atteso non si compie e all’inatteso un dio apre le porte”. Per fortuna dio apre quel che l’uomo cerca di chiudere, altrimenti moriremmo di avarizia e aridità, come un Arpagone aggrappato al suo inutile e fetido tesoro».

Sarantis Thanopulos: «Penso all’attesa come spazio erotico femminile ma anche, le due cose sono strettamente connesse, come spazio di gravidanza. L’atteso, prodotto dell’immaginazione, non è mai l’ospite vero, costui è sempre atteso/inatteso. Nulla è più atteso dell’ospite e lui sempre ci sorprende. L’altro è ospitato dentro di noi già prima di essere arrivato (se lo desideriamo mentre lo immaginiamo). Dopo, nel momento in cui davvero appare, sarà riconosciuto e accolto nella sua diversità solo se è stato partorito dallo spazio interno di gestazione in cui l’abbiamo lungamente sognato.

L’inospitalità è sterilità. Puzza di decomposizione. L’atteso non deve compiersi perché l’attesa respiri. È il dio dei poeti tragici -l’intenzionalità del caso-, la forza propizia che ci dischiude, sognanti, all’imprevisto».

Ginevra Bompiani: «La figura che ha preceduto attesa e sorpresa è quella di metis e occasione. Metis, l’intelligenza che si prepara per il momento opportuno, l’occasione, quella che si offre perché tu con un balzo l’acciuffi per i capelli.

Diversamente dalla metis, l’attesa ti prepara al compimento immaginario, non a quello reale, che non finirà di sorprenderti. Come tu dici, “l’atteso non deve compiersi perché l’attesa respiri”.
Immagina un amore, l’incontro in cui sembra che atteso e inatteso si compiano insieme: se, mentre camminate a fianco, tu pensi che ormai l’attesa sia compiuta, ogni scarto, ogni mistero arriverà come una smentita, ti metterà di fronte una persona sconosciuta, l’inatteso ti travolgerà di nuovo come un’onda violenta.

E’ il nostro tsunami quotidiano. Perché, appunto, l’atteso è immaginario, l’inatteso è reale, e il reale è inconoscibile. Ma è quello che puoi stringere a te, con amore».