Apriamo il frigorifero. «Per capire qual è il rapporto tra il cibo e l’attuale crisi climatica, quali sono le responsabilità del sistema alimentare e quali gli effetti del riscaldamento globale su quello che mangiamo, dobbiamo partire dal frigo».

È da questo elettrodomestico che Fabio Ciconte – direttore dell’associazione Terra! e portavoce della campagna «FilieraSporca» contro lo sfruttamento del lavoro in agricoltura – inizia il suo nuovo libro Fragole d’inverno che ha come sottotitolo: Perché saper scegliere cosa mangiamo salverà il pianeta (e il clima).

«Se ognuno di noi apre il frigorifero ci troverà una carota raggrinzita oppure delle fragole d’inverno. Questo vuol dire due cose. Da una parte che la natura viene forzata a produrre cose che normalmente non produrrebbe, ma soprattutto un frigo così splendente sempre carico di prodotti a basso costo non ci fa capire che l’agricoltura (e il cibo) è una dei protagonisti della crisi climatica. È da qui che dobbiamo partire per comprendere i cambiamenti in atto», spiega Ciconte.
L’agricoltura e altri usi della terra sono responsabili del 23% delle emissioni totali di gas serra, una cifra che arriva al 37% se si considera tutta la filiera. Il consumo poi smisurato di acqua e fertilizzanti così come la quantità di alimenti sprecati si aggiungono alle ragioni che attentano alla salute pianeta.
Nell’analisi del settore agricolo, Ciconte dedica agli allevamenti intensivi un capitolo intero in quanto tra i maggiori produttori di gas serra. A questo bisogna aggiungere che «per un solo chilo di carne sono necessari quattro chili di mangime e seimila litri d’acqua, una cifra enorme se pensiamo che per lo stesso quantitativo di pomodori ne bastano poco più di duecento». Inoltre, nel mondo per far posto agli allevamenti e per produrre materie prime per i mangimi occorre deforestare milioni di ettari.

In Brasile, ricorda l’autore, dal 2000 a oggi si è passati da tre a sette milioni di ettari coltivati a soia utilizzando aree della foresta amazzonica. E la deforestazione è un’altra delle principali cause dell’emergenza climatica, perché quando le foreste bruciano rilasciano enormi quantitativi di anidride carbonica e smettono di assorbirne.

Sarebbe però troppo semplicistico dare tutte le colpe all’agricoltura, ricorda Ciconte, perché a sua volta è anche vittima dei cambiamenti climatici tra bombe d’acqua, grandinate e siccità. E poi ci sono contadini e scienziati che si stanno impegnando per produrre nel rispetto della natura. Nel libro sono riportati esempi, come quello di Gavino Arca, pastore sardo, che ha realizzato un pascolo «rigenerato» facendosi aiutare dagli scienziati del Cnr di Sassari. Ha suddiviso i pascoli di erbe spontanee in quattro lotti spostando le pecore da uno all’altro in base alla vegetazione, alla stagione e alla temperatura. Così facendo non ci sarà più bisogno di seminare e l’anidride carbonica emessa da un ettaro di questo pascolo estensivo è del 50% inferiore a quello semintensivo, il più praticato.

«E se il clima cambia, cambia l’agricoltura. Se cambia l’agricoltura, cambia anche il cibo che mangiamo». Nei prossimi anni, si legge, ci sarà un aumento delle produzioni agricole nel nord Europa a seguito di condizioni climatiche più favorevoli, mentre da noi si dovrà fare i conti con ondate di calore, eventi estremi e insetti dannosi tipici di altri continenti, come la famigerata cimice asiatica o le locuste. Quindi in Belgio si produrrà il radicchio trevigiano, ma paradossalmente, scrive Ciconte, noi non ci accorgeremo di tutto questo guardando gli scaffali dei supermercati e del nostro frigorifero.

L’autore ricorda poi che i consumatori non sono esenti nel produrre danni al clima e che sono chiamati a fare la loro parte non sprecando cibo. Ogni anno nel mondo vanno in pattumiera 3,3 miliardi di tonnellate di alimenti (8% delle emissioni totali). Vale a dire che nella torta delle responsabilità della crisi climatica, insieme ai trasporti, al modello energetico e agricolo, dobbiamo aggiungere la fetta dello spreco. Per Ciconte dobbiamo adoperarci per un consumo più consapevole e per attuare profonde riforme del sistema produttivo per arrivare a un’agricoltura più ecologica.