Come in ogni partita a poker che si rispetti chi gioca per ultimo ha un vantaggio sugli avversari. Vale anche nella sfida sull’indipendenza fra il governo catalano e quello spagnolo. Il presidente catalano Artur Mas è riuscito a giocare le sue carte con abilità e ha ottenuto il risultato simbolico che più conta in questo momento: sono tutti in attesa della sua prossima mossa.

Venerdì scorso il Parlament ha approvato con ampia maggioranza la legge sulle consultazioni, che regolamenta la possibilità da parte del governo catalano di ascoltare l’opinione dei cittadini in maniera non vincolante «attraverso la convocazione di consultazioni popolari o altri meccanismi di partecipazione» su «qualsiasi aspetto della vita pubblica» in Catalogna. A questo punto, è scattato il conto alla rovescia dei 15 giorni a disposizione per la pubblicazione della legge sul Bollettino ufficiale della Generalitat de Catalunya: in quel momento la legge entrerà in vigore e in virtù della stessa, il presidente Mas potrà convocare la prima «consultazione» per il giorno 9 novembre, come accordato con i suoi alleati. Secondo la legge, infatti, possono promuovere consultazioni, fra gli altri, lo stesso governo catalano, il 10% dei comuni catalani o ventimila cittadini.

Ma il governo di Madrid è pronto a bloccare la norma istantaneamente, impugnandola nei termini previsti dalla Costituzione spagnola. Per fare questo però deve attendere che entri in vigore. Una volta pubblicata (Mas pensa di farcela entro questa settimana), deve essere il presidente del consiglio in persona, sentito il governo, a interporre il ricorso di incostituzionalità. Peccato che Rajoy stasera sia in partenza per la Cina fino a sabato. La vicepresidente Soraya Sáenz de Santamaria ha la facoltà di convocare il consiglio dei ministri straordinario, ma non quella di firmare il ricorso. Fonti governative hanno fatto sapere che Rajoy potrebbe firmare il decreto «per via telematica». È chiaro che Artur Mas gioca con le date per guadagnare una manciata di ore: se la legge rimane in vigore qualche giorno (nel momento in cui il Tribunale Costituzionale accetterà di esaminare il ricorso, la legge e il decreto di convocazione del referendum verranno automaticamente sospesi), Mas avrà tempo di fare campagna elettorale per il referendum e guadagnare punti rispetto ai suoi alleati sostenitori del referendum.

È questo un meccanismo straordianario, basti pensare che solitamente passano settimane prima che il governo impugni norme approvate dalle varie Autonomie, e anche vari mesi prima che il Tribunale Costituzionali accetti di esaminarle. Ma nessuno dubita che la decisione nel caso catalano avverrà immediatamente, anche se la sentenza potrebbe tardare mesi o anni.

Quello che non è chiaro è se qualcuno, dietro le quinte, sta lavorando per gestire il dopo. Convocherà Mas elezioni anticipate? Il governo di Madrid farà qualche proposta per depotenziare la bomba indipendentista che scoppierà per le strade di Barcellona? Il leader del Psoe Pedro Sánchez oggi sul País ha pubblicato un lungo articolo in cui chiede di riformare la Costituzione in senso federale, fra le altre cose. Ma il governo ha già risposto picche.

Intanto Barcellona ieri, assieme ad altri 300 municipi catalani (questa settimana si arriverà a più di 600 sui 946 totali), ha approvato una mozione di appoggio alla consultazione in cui si propone di fornire appoggio logistico e i dati sui propri cittadini per facilitare la celebrazione della consultazione. Mentre i movimenti dal basso, come Guanyem Barcellona, si preparano ad affrontare le elezioni municipali di maggio mettendo in campo piattaforme sociali trasversali ai partiti, l’establishment politico catalano è tutto lanciato verso un referendum che non si celebrerà.