La Rete Sostenibilità e Salute (Rss) riunisce 27 associazioni che si occupano di salute nei suoi molteplici aspetti: alcune sono state promotrici della medicina sociale che negli anni ’60 e ’70 ha posto le basi della nostra riforma sanitaria, come Medicina e Psichiatria Democratica; altre si focalizzano sulle dimensioni strutturali e sociali che portano a malessere o malattia, come il CSI di Bologna; altre ancora si occupano della relazione con l’ambiente e il paradigma economico in cui viviamo, come Isde, il Movimento per la Decrescita Felice e Slow Medicine.

L’idea di pubblicare una serie di riflessioni nel libro Un nuovo mo(n)do per fare salute, uscito per la casa editrice Celid, è nata dalla volontà di condividere una visione allargata del benessere come risultato del contesto, dei processi storici che lo determinano e delle relazioni fra le persone, rivolgendosi anche al di fuori dell’esclusivo ambito sanitario.

L’approccio sistemico che caratterizza la RSS prende forma dai cosiddetti determinanti della salute, costituiti dalle condizioni in cui le persone nascono, vivono, lavorano e che non può prescindere dall’impatto fondamentale che hanno la qualità dell’ambiente e le disuguaglianze sociali. Il testo evidenzia infatti come la Commissione sui Determinanti Sociali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia rilevato che lo status di appartenenza è ciò che maggiormente «influenza l’esposizione a contesti più o meno nocivi per la nostra salute, nonché l’accesso alle risorse necessarie per tutelarla e/o per curarci in caso di sopraggiunta malattia».
La stessa Organizzazione riferisce che le morti all’anno attribuibili a esposizioni ambientali sono circa tredici milioni e si stima che il 50% delle emissioni di CO2 siano attribuibili al 10% delle persone più ricche al mondo. «Al tempo stesso» – scrivono Patrizia Gentilini, Agostino di Ciaula e Ferdinando Laghi dell’Associazione medici per l’ambiente (Isde) – l’83% delle morti dovute a fattori legati al clima si trova nelle zone del mondo che meno contribuiscono al problema».

Come nella crisi ambientale anche in salute la disuguaglianze sociali hanno un peso enorme nel differenziare la possibilità di resistenza. «Agire solo sul piano informativo, pensando che è quello che la persona può controllare, funziona solo per chi può fare determinate scelte» spiega Chiara Bodini, specialista in Malattie Infettive e Medicina Preventiva, membro del Centro di Salute Internazionale e del People’s Health Movement, nonché curatrice del libro insieme a Jeab-Louis Aillon e Matteo Bessone. «La precarietà e la complessità delle esistenze lasciano poco spazio per mettere in atto comportamenti salutari. Appellarsi agli stili di vita individuali è una strada che ha grande appeal, ecco perché è cavalcata dalle multinazionali per vendere i loro prodotti, ma in realtà non fa che spostare l’attenzione dalle cause strutturali e dalle reali soluzioni». Queste ultime sono elencate nella Carta di Bologna, testo manifesto della Rete, che evidenzia i rischi derivanti dall’ingresso delle lobbies della privatizzazione all’interno del Ssn, con la scomparsa della salute come diritto in favore di una sanità come insieme di prestazioni. E se «Basaglia sosteneva che ogni autentico processo di guarigione passa attraverso il fermo rifiuto delle condizioni esistenti, accompagnato da sentimenti di opposizione al potere che lo ha determinato» considerare la malattia, nostra e del pianeta, il sintomo di una responsabilità collettiva ci porta a una visione della scienza come presidio di democrazia, in cui la partecipazione dei cittadini e dei movimenti dal basso è fondamentale nell’innescare processi di analisi e cambiamento verso nuovi paradigmi.