Nel microcosmo piemontese e specialmente a Torino il tracollo dei Cinque Stelle assume contorni ancor più marcati. Qui, governano il capoluogo con la sindaca Chiara Appendino. Qui, c’è la questione delle questioni: la linea ad alta velocità Torino-Lione su cui l’alleato al governo nazionale, Matteo Salvini, dopo la vittoria alle Regionali, imprime un’accelerazione, consapevole che, ora, tutte le ambiguità presenti nel contratto di governo possono essere interpretate a suo piacimento. «In Piemonte ha stravinto la Lega. L’85% dei Piemontesi ha votato per la Tav», semplifica il vicepremier leghista.

A Torino, il Pd è il primo partito e le periferie Nord che erano state decisive per la vittoria di Appendino sono passate dal M5s alla Lega. Nel 2016 alle amministrative oltre 118 mila torinesi crociarono, al primo turno, il nome della futura sindaca pentastellata; alle ultime europee i Cinque Stelle hanno incassato solo 52.803 voti pari al 13,3% contro i 91.303 del 2014. Stesso discorso per le Regionali: 53 mila voti circa per Giorgio Bertola, rispetto agli oltre 93 mila raccolti, cinque anni fa, da Davide Bono. «L’exploit leghista non giunge del tutto inaspettato», ha dichiarato a caldo Appendino. Riuscirà a tenere unita la sua maggioranza?

Dall’inizio del mandato, nel gruppo M5s si sono ripresentati ciclicamente malumori e frizioni, dalle Olimpiadi alle promesse mancate sulle periferie fino alle inchieste giudiziarie. Ma si è verificata un’unica uscita, quella di Deborah Montalbano. Le vicende nazionali hanno sollevato tensioni ma non separazioni. Ed è forse questo uno di quei momenti. Ieri, la sindaca si è spesa nel confermare fiducia al capo politico Luigi Di Maio, in vista del voto online, proprio su questo tema, sul sistema Rousseau: «Anziché alimentare un clima da forconi in questo momento chi fa parte del Movimento dovrebbe stare vicino a Luigi in un percorso di cambiamento in un clima sereno. Io confermerò la mia fiducia totale».

Un’uscita che non trova sintonia tra i consiglieri pentastellati. «Direi che non abbiamo capito nulla. Sono sconcertato», ha scritto sui social il presidente del Consiglio comunale Francesco Sicari. «Ammesso che abbia sbagliato tutto lui, un voto di conferma – ha aggiunto – legittimerebbe la persona che ha sbagliato tutto ad andare avanti». La capogruppo in Sala Rossa Valentina Sganga prova a compattare: «Siamo finiti nella trappola della ricerca di un colpevole. Per tutto ciò, in questo momento l’unica cosa che serve al M5s è l’unità. Non faremo la fine della sinistra, ridotta al nulla dalle loro patetiche divisioni: il M5s è diverso».

Intanto, oltre al risultato a Torino, i Cinque Stelle devono leccarsi le ferite per quello in Val di Susa, un tempo il fortino per eccellenza dei grillini. La Lega avanza in Valle (a Susa, alle Europee, è passata dal 6,2% al 33,5%) e il rapporto tra No Tav e M5s è in crisi da tempo. Se Salvini accelera sulla realizzazione del tunnel, il ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli prova a parare il colpo: «Dopo il voto non cambia assolutamente nulla. I dossier che riguardavano il mio ministero vengono gestiti oggi come venivano gestiti prima delle elezioni europee».
Sono trent’anni che si discute di quest’opera controversa, i politici sono cambiati, chi è rimasto è il movimento No Tav, vivo e vegeto da 30 anni a oggi: «Negli scorsi mesi – hanno sottolineato i No Tav – abbiamo sorriso parecchio nel leggere chi accusava il movimento di essere diventato filogovernativo. Noi che di governi ne abbiamo visti passare tanti eravamo certi che i nodi sarebbero tutti venuti al pettine. A giudicare dalle dichiarazioni post voto, il Tav si annuncia già da ora come il principale terreno di scontro e di resistenza, anche contro l’avanzata di Salvini».