La tempesta che si è scatenata alla vigilia del Salone del libro di Torino adesso travolge Altaforte, la casa editrice vicina a Casapound che, tra le altre cose, è in procinto di pubblicare un libro-intervista al ministro degli Interni Matteo Salvini. Il Comune di Torino e la Regione Piemonte, responsabili dell’assegnazione degli spazi, hanno infatti presentato in procura una denuncia contro il titolare del marchio Francesco Polacchi per apologia di fascismo. Lui, da sempre organico a Casapound, dopo aver surfato per giorni sulla cresta dell’ondata di polemiche, ha fatto un passo decisamente falso rilasciando a Radio 24 dichiarazioni inequivocabili in cui ha innalzato Mussolini a «più grande statista che l’Italia abbia mai avuto», ha detto che «l’antifascismo è il male assoluto» e infine si è definito «fascista», perché «la legge non me lo impedisce». E qui Polacchi sbaglia, e da qui è partita l’offensiva istituzionale ad Altaforte, che a questo punto ha un piede già fuori dal Salone.

«Adesso speriamo che la magistratura faccia in fretta», dicono dall’organizzazione della rassegna torinese che aprirà i battenti domani al Lingotto, mentre il vicepremier Luigi Di Maio si è associato alla denuncia: «Polacchi – ha commentato il ministro – attacca l’antifascismo, un valore fondamentale della Costituzione».

LA SINDACA DI TORINO Chiara Appendino e il governatore piemontese Sergio Chiamparino si sono mossi dopo giorni di mobilitazione da parte di scrittrici, scrittori, collettivi, associazioni e movimenti. A partire da Christian Raimo (consulente del direttore del Salone Nicola Lagioia) che si è dimesso, passando poi per i Wu Ming, Carlo Ginzburg, Francesca Mannocchi, Zerocalcare, Roberto Piumini e altri, in molti hanno deciso di non andare al Salone proprio per non doversi ritrovare fianco a fianco con i neofascisti. Non solo, anche chi ha confermato la propria presenza, ha comunque sottolineato quanto la vicenda di Altaforte sia imbarazzante, ai limiti dell’insopportabile. L’ultimo aut aut è arrivato dal Museo di Auschwitz, che lunedì sera ha fatto pervenire al Comune di Torino una lettera in cui si chiedeva di scegliere tra loro e Casapound. «Non si può chiedere ai sopravvissuti all’Olocausto di condividere lo spazio con loro», sostiene il direttore del museo Piotr Cywinski.

Il problema, dunque, è stato posto con forza, molto più che in passato, quando il Salone ad esempio ospitava tra i suoi stand la casa editrice di Franco Freda, già esponente di spicco di Ordine Nuovo.

IL FRONTE ANTIFASCISTA ha ritrovato compattezza soltanto nella giornata di ieri, dopo giorni di discussioni laceranti tra chi ha scelto di andare e chi no: la spaccatura è stata evidente e dolorosa, troppo spesso sopra le righe e spiacevole per tutte le parti in causa. A poco erano serviti gli iniziali distinguo di Lagioia, che a ragione sosteneva di non avere potere sull’affitto di uno stand da parte di Altaforte, i cui libri comunque non avevano manco una presentazione inserita tra le oltre mille del programma ufficiale. E, d’altra parte, tutta la discussione è da leggere anche come vera e propria trappola contro l’attuale direzione del Salone. Non bisogna dimenticare, infatti, che la polemica è nata a causa di un post su Facebook di Christian Raimo (che aveva denunciato la presenza di editori e personaggi più o meno dichiaratamente neofascisti) sul quale si era fiondata la sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni (Lega), che aveva bollato il consulente di Lagioia come censore e compilatore di liste di proscrizione. Un evidente e volontario travisamento del post, in tutto e per tutto strumentale e con l’obiettivo palese di destabilizzare il Salone. Non una parola di condanna né di perplessità, invece, sul fatto che un ministro abbia deciso di concedere un libro-intervista a una casa editrice di Casapound. In fondo, però, non c’era da aspettarsi di meglio da Borgonzoni, persona che, nonostante il suo ruolo, in passato si è vantata del fatto di non leggere libri da anni.

PER LA GIORNATA DI OGGI si attendono decisioni definitive sulla presenza di Altaforte. Quelli di Casapound sembravano aver studiato tutto nei dettagli: il libro su Salvini, la polemica e infine l’arrivo del leader Simone Di Stefano, che proprio domani – giorno d’inizio del Salone – sarà in città per un comizio e probabilmente una passeggiata al Lingotto se la farebbe pure, per completare la provocazione. Il modello è quanto successo in Germania alla Frankfurter Buchmesse di un anno e mezzo fa, quando si decise di concedere spazio all’editore di ultradestra Antaios e la situazione degenerò in rissa.

SALVINI, DAL CANTO SUO, per una volta appare quasi spaventato dall’improvviso alzarsi dei toni e, dopo mille voci, ha annunciato che non si farà vedere al Salone, a differenza di quanto fece nel 2016, quando andò a presentare il suo libro modestamente intitolato Secondo Matteo (Rizzoli), beccandosi anche qualche fischio e qualche insulto. Una defezione che lascia un po’ di amaro in bocca, in fin dei conti: il ministro avrebbe almeno avuto l’occasione per farsi una bella foto con dei libri invece che con un mitra in mano.