«Si scrive per noi, per gli altri, per il riflesso che di noi stessi vediamo negli altri, per i nostri morti, per i nostri ricordi, ma anche per i posteri, perché si ha l’illusione che ci potranno ascoltare».

Sono parole di Antonio Tabucchi. Aprono una conversazione intrattenuta con Paola Guaglianone e Marco Cassini, pubblicata col titolo Dove va il romanzo? da Omicron, nel gennaio del 1995.

Nel 1994 Tabucchi licenzia Sostiene Pereira e gli argomenti svolti e i temi trattati son plausibili, tra l’altro, proprio come una riflessione dello scrittore su quel suo romanzo da poco dato alle stampe e che riscuote un largo interesse.

Del resto, come è stato notato, Sostiene Pereira segna un momento cospicuo della ricerca di Tabucchi. Riccardo Scrivano, nel saggio L’orizzonte narrativo di Antonio Tabucchi, posto a corredo della conversazione e nel quale ripercorre l’opera dello scrittore da Piazza d’Italia (1975) a Sogni di sogni e Requiem (1992), afferma: «Si ha l’impressione che tra ’93 e ’94 un mutamento importante di prospettive complessive sia intervenuto nella storia intellettuale, culturale e anche morale e ideologica di Tabucchi».

Una maturazione che mette capo a Sostiene Pereira dove, dice Scrivano, la ricerca «si trasforma in una presa di coscienza ideologica che è anche ricomposizione dell’identità smarrita».

Narrare, allora. Innescare un procedimento inteso a collegare quanto di noi si dipana per fili molteplici e diseguali. Scorci, prospettive, vedute che convivono ad aprirsi su scenari e luoghi diversi. Un diorama plurimo che si compone svariato e si attesta su tempi divergenti, l’andamento dei quali segue ritmi polivalenti e direzioni promiscue.

Esse fluttuano in un gioco di accelerazioni e ristagni, si manifestano per illuminazioni improvvise o permangono come remote e indelebili consistenze.

Narrare (narrarsi), allora, per modulare attinenze, coinvolgimenti e vicende che trasponi e trasferisci entro profili che tracci percorribili, identità romanzesche che offri agli altri («si scrive per noi, per gli altri»). «Io mi sono sempre travestito quando ho scritto i miei romanzi», confessa Tabucchi ai suoi interlocutori.

«Non ho mai fatto una narrativa fondata sull’ipertrofia dell’ego. Amo lo scrittore che esce dalle strettoie del proprio ego, inventa un altro personaggio e si trasferisce in lui».

E aggiunge, riguardo a Sostiene Pereira: «in questo caso ho fatto da portavoce a Pereira e ne sono stato ben contento, perché prima di arrivare alla stesura del romanzo ho convissuto con Pereira molti mesi. Pereira è cominciato a sorgere come personaggio due anni fa, poi abbiamo cominciato a colloquiare, ho ascoltato le sue confidenze fino al momento in cui ho capito che potevo essere veramente il suo depositario, che poteva parlare attraverso di me. È questo che amo nella letteratura e, come avrebbe detto Fernando Pessoa, ‘diventare un altro continuando ad essere te stesso’».

Il narratore si trasferisce nel personaggio. Con perseveranza estrae e distacca da sé le componenti, gli ingredienti e i moduli che verranno a designare quel personaggio, mentre lo fa emergere grazie ad un lento processo di identificazione nel corso del quale acquisisce nozione di questo o quel suo tratto, prende nota d’un connotato che lo caratterizzi, ne indovina le inclinazioni e ne deduce le conseguenti preferenze e repulse.

Ne compone così immagine e carattere tali da comportare e da fissarsi quali conformità da rispettare e coerenze da perseguire allorquando il personaggio entrerà in azione. La confidenza, come la chiama Tabucchi, dell’autore segna il destino del personaggio.

Il narratore che si è deprivato di certe sue proprie note sensibili e le ha depositate nel personaggio, per una sorta di proprietà commutativa, ne diviene egli stesso il depositario. Ed avviene così che, a pieno titolo, il narratore possa parlare attraverso il personaggio.

Un procedimento creativo da accostare a certi passi del Paradosso sull’attore di Denis Diderot. L’attore che, come il narratore Tabucchi, agisce «la conformità delle azioni, dei discorsi, delle espressioni, della voce, del movimento, del gesto a un modello ideale immaginato dal poeta».