Delle idee e degli scritti di Antonio Labriola (1843-1903) si discute attualmente poco. Non è stato sempre così. Basti citare saggi e libri di Eugenio Garin, Nicola Badaloni e Cesare Luporini, tre studiosi storici della sinistra italiana del dopoguerra (fanno scuola l’introduzione del primo all’edizione di La concezione materialistica della storia e il volume di Badaloni Antonio Labriola nella cultura europea dell’ottocento, editi entrambi da Laterza). Nel 2018, la ricerca l’ha riproposta Marcello Musté in Marxismo e filosofia della prassi: da Labriola a Gramsci (Viella).

DEL RESTO, NON POTEVA che essere così in quanto Labriola rappresenta il primo strappo in direzione marxista nella cultura italiana. A lui si deve infatti l’introduzione in Italia non dell’ispirazione politica socialista (il Partito socialista era stato fondato nel 1892), bensì del marxismo come metodo e riferimento teorici. È lui che opera la prima rottura nella tradizione idealista e storicista italiana. È sempre a lui si deve la prima traduzione in italiano de Il Manifesto dei comunisti di Marx ed Engels. Il ruolo di capostipite del marxismo italiano glielo riconoscono anche Croce, che fu allievo di Labriola frequentando i suoi corsi di Filosofia morale all’università di Roma, e Antonio Gramsci.
È una bella sorpresa la versione critica e accuratissima di Del materialismo storico dilucidazione preliminare di Antonio Labriola (a cura di Davide Bondi e Luigi Penzo, pp. 267, euro 40), per Bibliopolis, editore napoletano di filosofia e scienza che dal 2004 si sta occupando della riedizione delle opere dell’autore per permetterne la rilettura. Pubblicazione accuratissima perché alla prima stesura seguono filologicamente le altre con introduzioni, note e correzioni diverse fino all’ultima. Il che dà la possibilità al lettore e allo studioso di analizzare lo sviluppo conseguente del pensiero di Labriola.

L’INTERESSE dei decenni passati rispetto a Labriola si deve al suo rapporto con Gramsci dal punto di vista dei possibili fondamenti teorici del marxismo italiano, oltre al ruolo di ideale caposcuola marxiano. Al Gramsci «giovane», quello precedente ai Quaderni, si attribuiva una certa interiorità nella tradizione idealistica da cui si sarebbe staccato troppo poco rispetto all’idealismo hegeliano, mentre Labriola avrebbe avviato una cesura. Da qui un certo «storicismo assoluto» di matrice crociana di cui non si sarebbe liberato il «partito nuovo» voluto da Togliatti.
Gramsci ha sempre usato parole di stima nei confronti di Labriola, diffondendone anche gli scritti. Secondo il Gramsci dei Quaderni, è proprio lui a operare una positiva frattura nella cultura italiana. Fu il primo a usare la categoria di «filosofia della praxis» che verrà utilizzata successivamente da Gramsci. Per Labriola, quella formula era «il midollo del materialismo storico».

PERSONAGGIO COMPLESSO, Labriola. La sua è una grande mole di riflessione filosofica che parte da Hegel, passa per Spinoza, per arrivare con tappe successive all’incontro con la riflessione di Marx ed Engels. Con quest’ultimo ebbe un fitto carteggio politico raccolto in apposito volume. Una sua peculiarità stava nell’aver scelto il ruolo di filosofo/pensatore rispetto a quello di un impegno politico diretto (non aveva fiducia nella leadership del Partito socialista di Filippo Turati, con quest’ultimo polemizzò più volte). A Labriola si rimprovera però qualche sbandata teorica, come la fiducia acritica di progresso rispetto ad esperienze coloniali di cui auspicava il compimento.
L’apporto originale di teoria che viene da Labriola – lo si riscopre leggendo i suoi scritti sul materialismo storico ora ripubblicati – sono la sua idea (molto moderna) di «interdipendenza globale» e la riforma della dialettica hegeliana «che egli ripensò come una filosofia della praxis» adottando un metodo di «evoluzione morfologica» e mediando con i grandi classici della tradizione italiana, a cominciare da Giordano Bruno e Giambattista Vico scrive Musté, ponendo il tema se non si possa attribuire proprio a Labriola l’avvio di una tradizione critica italiana all’interno del marxismo.

IL NODO DI RICERCA che appassionò Garin, Badaloni e Luporini – e forse penalizzò il ruolo effettivo avuto da Labriola – era trovare in Gramsci e nei suoi Quaderni il vero punto di rottura e discontinuità con la tradizione hegeliana e storicista che tanto ruolo aveva avuto in Italia. In tale ricerca si esaltava la critica gramsciana al marxismo (anche a quello di Marx) per essersi legato troppo al positivismo e al naturalismo. Quindi, ben venga la riproposizione di tale discussione sui rapporti e sulle influenze di Labriola su Gramsci, consapevoli che il primo non conobbe la Rivoluzione di ottobre e le sue influenze sulla situazione internazionale e sul dibattito teorico.
La prima versione di Del materialismo storico risale al 1896. Quello che colpisce dell’edizione filologica ora stampata è l’ampiezza della ricognizione teorica che Labriola porta a sostegno della sua posizione. L’anno prima aveva pubblicato il primo di tre saggi In memoria del Manifesto dei comunisti, molto citati nelle ricerche sull’autore, sulla rivista francese del Le devenir Social, su cui Engels espresse un giudizio favorevole. Si tratta di un grande affresco che ripercorre criticamente tutte le tappe fondamentali che precedettero la nascita del Manifesto dei comunisti, a partire dal socialismo primitivo e utopistico. I tre saggi trovarono forma compiuta nel 1898.
Antonio Labriola morì a Roma il 2 febbraio 1904, all’età di soli 61 anni. La sua tomba si trova nel Cimitero acattolico di Roma, nei pressi della Piramide, non molto distante da quella di Antonio Gramsci le cui ceneri sono nello stesso luogo.