Monica Ferrando: «La tua lettura dell’Antigone -Sarantis Thanopulos, Antigone e la polis, Psiche, vol.1 2018- nell’additare il limite di quella hegeliana imperniata sul preteso paritetico scontro di individuale e collettivo, vede nell’essere individuale, qui non a caso femminile, la condizione sorgiva di ogni collettivo. La dimensione universale che il coro spalanca con l’inno all’ingegno umano e a eros invincibile non può infatti che riassumersi nell’esigenza comune di amore (sunphilein) professata da Antigone che, rifiutandosi all’obbligo di decidere tra Fatto e Valore, sola può svelare l’arbitrio celato in ogni legge positiva. Non tanto, però, con la purezza del caso eccezionale singolo quale antitesi all’eccezione insita nella legge della collettività, bensì quale autentica fonte dell’universalità della legge.

Solo così può avvenire lo smascheramento dell’eccezione come arbitrio decisionale protetto dalla legge. Se la legge della città (l’ordinamento giuridico) non è indenne dal calcolo strategico autoconservativo – Creonte non fa che prevedere mosse parlando di denaro e rapporti di potere – l’amore, sintesi, come tu dici, di legge e desiderio, non decide e “non ammette calcoli”. È la sua libertà dall’interesse (qui è l’amore per un morto) a farne la fonte di quell’universalità negata per definizione a ogni legge positiva.

Se l’idea di un diritto naturale muoverà storicamente proprio da questi versi, occorre capire se qui ‘naturale’ è automatica garanzia da ogni arbitrio. Come tu dici, trattenere la legge accanto al desiderio non significa che infrangere lo schema ‘naturale’, ripetitivo, del bisogno: di cose, di padroni, di guerra (la logica amico/nemico), quindi inaugurare una nuova politica. Ma non è proprio qui l’accesso all’universalità della legge? Il fatto che essa sia agrapta nomima, non scritta (divina), e coincida con la ragione umana secondo la tradizione giusnaturalistica non si spiega infatti col ricorso a una natura ritenuta giusta e resa garante, bensì col richiamo all’amore come sola legge capace di tener testa alla forza del desiderio, cioè alla natura sorgiva dell’umano».

Sarantis Thanopulos: «La legge positiva interpreta il vivere come appagamento di bisogni: il ritorno allo stato psicorporeo precedente ad ogni eccitazione. Come se la nostra condizione nel mondo fosse la continua liberazione dalle tensioni. Nel campo del bisogno siamo indifferenziati e indifferenti (l’altro è usato come strumento di sollievo o vissuto come fastidioso). Siamo uguali, ma impari: colui che è senza scrupoli diventa il più “forte”. Perciò la legge positiva è codificata, regolata nel suo nucleo costitutivo (quello dell’arbitrio) dallo schema, intuito da Hegel, del padrone e del servo.

La legge naturale è, invece, fondata sul desiderio: il vivere nella persistenza di tensioni psicocorporee trasformative, nell’ondeggiare dell’esperienza che conosce l’imprevisto e la sorpresa. Qui gli umani sono diversi, ma necessariamente pari. Il desiderio dell’uno deve accordarsi, rispettandolo, con il desiderio dell’altro: altrimenti l’eros, privo di un oggetto libero, muore. La parità è un’esigenza intrinseca della relazione di desiderio che si costruisce nella concertazione tra i soggetti desideranti.

È una legge non scritta perché la conosciamo tutti, fa parte di noi, non è una conoscenza acquisita fuori dal gioco della nostra intesa con l’altro, da insegnare. Basta aver fatto l’amore, sentito un pezzo di musica o letto un libro per sapere che non godiamo se non rispettiamo l’idioma dell’oggetto desiderato. La legge di Antigone, l’Eros regolato dalla philìa (l’amicizia/amore custode della parità degli amanti) è universale. La legge di Creonte è uniformante, tende allo stato d’eccezione e ha Thanatos, l’assenza di tensione, come suo ideale (pure quando cerca con l’azione distruttiva l’eccitazione vivificante)».