Salutate come l’arma segreta contro il Covid, le cure a base di anticorpi monoclonali hanno avuto un effetto assai poco rilevante nel frenare l’impatto della pandemia. Anche perché vengono spesso usate in modo inappropriato. Secondo i dati diffusi dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), quasi la metà delle persone curate con i monoclonali nelle ultime settimane ha ricevuto prodotti inefficaci contro la variante Omicron, che secondo l’Iss rappresenta oltre il 99% dei ceppi circolanti.

DA QUANDO OMICRON ha azzerato la Delta, molti medici hanno continuato a prescrivere i monoclonali prodotti da Eli Lilly e Roche-Regeneron, la cui inefficacia contro la variante Omicron è nota sin da dicembre. Il sotrovimab (l’unico efficace) è stato prescritto solo nel 57% dei casi, anche perché finora l’Italia ha avuto pochissime dosi a disposizione. Il 43% delle quasi novemila prescrizioni da metà gennaio a oggi riguarda invece i monoclonali inefficaci. «In parte si tratta di prescrizioni relative ai residui casi di Delta», fanno sapere a Aifa, «ma in una percentuale dei casi evidentemente non si è verificata la rispondenza tra il ceppo virale e il farmaco».

Per somministrare i monoclonali i medici devono seguire una procedura piuttosto elaborata: vanno assunti nei primi 4-5 giorni dall’insorgenza dei sintomi, solo in pazienti fragili e sulla base di un test molecolare e possibilmente di un sequenziamento del tampone per scegliere il prodotto giusto, visto che ogni variante richiede un anticorpo diverso. A gennaio, con 5 milioni di casi registrati in un mese, in molte regioni d’Italia seguire questo iter è diventato impossibile perché l’intasamento dei laboratori e la crisi della sanità territoriale non ha consentito tamponi e sequenziamenti tempestivi. Cosicché in molti casi i monoclonali sono stati prescritti al buio. Dato che ogni trattamento costa circa duemila euro, solo nelle ultime tre settimane sono state sprecate terapie del valore di circa sette milioni di euro, senza beneficio per i pazienti.

ANCHE IN QUESTA ondata, dunque, l’impatto degli anticorpi monoclonali si è rivelato inferiore alle attese. Nei prossimi giorni l’Italia riceverà le prime fiale di un nuovo anticorpo, l’Evusheld prodotto dalla AstraZeneca, che in laboratorio ha mostrato una parziale attività neutralizzante contro Omicron. Ma nel frattempo l’ondata sta arretrando. E gli scienziati ora si interrogano se valga la pena inseguire le speranze generate da queste cure.

Le speranze hanno spinto l’Italia e altri Paesi europei ad acquistare queste terapie prima ancora che fossero autorizzate dall’Agenzia europea del farmaco. Il timore degli esperti è che ogni nuova ondata richieda un nuovo anticorpo, destinato tuttavia ad arrivare fatalmente in ritardo: nel tempo necessario a svilupparlo l’ondata potrebbe essersi già esaurita. Ne sanno qualcosa i ricercatori del consorzio italiano Toscana Life Sciences (Tls) guidato da Rino Rappuoli, il cui anticorpo monoclonale sperimentale si era rivelato tra i più efficaci in laboratorio.

MA PROPRIO nei giorni scorsi Tls ha comunicato di aver sospeso i test clinici perché il farmaco si è rivelato inefficace contro Omicron. «Stando agli studi clinici, i monoclonali attualmente in uso permettono di evitare in media circa un caso di progressione di malattia ogni venti pazienti trattati» spiega Giulio Formoso, farmacologo dell’azienda sanitaria di Reggio Emilia e membro dell’associazione Alessandro Liberati-Centro affiliato Cochrane, un network internazionale di ricercatori che passa al setaccio le evidenze scientifiche favorevoli o contrarie a terapie in uso. «I dati che abbiamo ora per decidere sul loro utilizzo indicano dunque una certa efficacia. L’efficacia di questi farmaci è stata dimostrata in pazienti che hanno fattori di rischio, e solo nel caso in cui sono somministrati entro pochi giorni dall’insorgenza dei sintomi. Inoltre l’efficacia contro la variante omicron per ora è dimostrata solo in vitro. La necessità di somministrarli in ospedale ne rende poi complicato l’uso, soprattutto in periodi di stress per le strutture sanitarie. La somministrazione in ospedale è necessaria perché possono dare reazioni anafilattiche, in circa un caso su duemila».

PER FARMACI COSÌ costosi, e a carico dello Stato, è d’obbligo una valutazione obiettiva di costi benefici. I circa quarantamila trattamenti utilizzati dal marzo del 2021 hanno permesso di evitare circa duemila ricoveri, che nel 10-20% dei casi portano al decesso. In base a questi calcoli, i monoclonali avrebbero salvato alcune centinaia di vite. Sono tantissime, in assoluto. Ma sono troppo poche, rispetto ai 50 mila decessi da Covid-19 registrati nello stesso periodo, per considerare i monoclonali lo strumento decisivo nella lotta alla pandemia. Né tantomeno un’alternativa alla vaccinazione.