Il «popolo di Erdogan» sotto le finestre dell’ambasciata a Berlino. Il tentativo di fuga – ancora tutto da verificare – del sultano in Germania. I gestori degli Spätkauf (i piccoli empori gestiti dai turchi) che festeggiano il «putsch» immaginando la fine della «dittatura islamica».

E l’odissea (infarcita di dubbi) di Erol Özkaraca, numero due della Spd nella capitale tedesca, «intrappolato» con la famiglia a Istanbul mentre in riva al Bosforo sparano e comincia la conta dei morti.

Così rimbalza nella Bundesrepublik la notte del golpe militare ad Ankara, così lontana e così vicina soprattutto per i 2,7 milioni di cittadini turchi stabilmente residenti in Germania. Reazioni istintive, ipotesi costruite, riflessi spontanei eppure condizionati. Restituiscono un’istantanea in grado di registrare il clima durante il colpo di Stato, dopo l’annuncio della junta e ben prima del fallimento conclamato.

Nelle stesse ore a tenere il punto (seppure con inusuale ritardo) è solo la cancelliera Angela Merkel: ben dopo la «presa« della tv pubblica turca da parte dei «colonnelli» fa sapere – via portavoce Steffen Steibert – come «l’ordine democratico in Turchia deve essere rispettato». Più o meno quello che ripete 14 ore dopo nella conferenza convocata d’urgenza nella sala stampa della «Lavatrice» (così viene chiamata la cancelleria federale a Berlino) con l’aggiunta degli «auguri al popolo turco affinché possa superare lo scontro violento e la divisione interna».

Poche sentite parole, molto meno degli slogan pro-Erdogan scanditi a squarciagola da oltre 3.000 persone che da mezzanotte in poi hanno circondato l’ambasciata turca di fronte al Tiergarten. Un mare di bandierine rosse con la mezzaluna: la risposta immediata all’appello Facetime del «presidente» che ha chiesto, anche a loro, di scendere in strada.

Qui nessuno si aspettava davvero di vedere il sultano in esilio in Germania, anche perché basta compulsare il sito «Flightradar24» per scoprire che «il Gulfstream presidenziale non è mai uscito dallo spazio aereo turco», come rivela uno dei «partigiani» di Erdogan. Tuttavia la tensione a Berlino è più che palpabile anche sul fronte diametralmente opposto. Egualmente appesi agli eventi (incollati a cellulari e tv satellitare) anche i «tifosi» dei golpisti, tra cui diversi gestori dei «negozietti» turchi sparsi per la capitale. «Non sono a favore dei militari, ma spero che riescano a cacciare Erdogan» è il ragionamento di chi ieri notte stava dietro la cassa dello Spätkauf in Scharnweberstrasse, nel quartiere Samariter, feudo della sinistra ma solo tedesca.

Come altri colleghi spera nella fine del «regime dell’Akp, in modo pacifico, ma se serve anche violento». Sulla stessa linea il proprietario di un chiosco a Kreuzberg (la più numerosa città turca fuori dai confini della Turchia) che non fa mistero di appoggiare i «lupi grigi» quanto di rispondere «sempre e solo» a Mustafà Kemal, non a caso appeso nel muro una spanna sopra la foto di famiglia.

Fuori dal coro c’è giusto l’anziano titolare della storica rivendita di schede telefoniche a Kottbusser Tor: «Odio Erdogan, tuttavia va battuto con metodi democratici, non con un colpo di Stato militare». E in Germania corre anche la testimonianza di Erol Özkaraca, sulle pagine web della Berliner Zeitung, mentre è bloccato all’aeroporto Gökçen, nella parte asiatica di Istanbul. «Ero in Turchia per una vacanza di dieci giorni. Ho capito che qualcosa non stava andando per il verso giusto quando la Turkish Airlines ha comunicato il ritardo nell’atterraggio» riassume il dirigente Spd.

Per nulla convinto dal «racconto» ufficiale del putsch: «Tutto questo è molto strano. I militari in Turchia non procedono mai in modo dilettantesco. Tantomeno si muovono in piccoli gruppi senza possibilità di successo» tiene a precisare.

Anche se conferma che «certo, i carri armati erano veri, si sentiva gente in panico che urlava «Allah è grande», le donne si sono nascoste nel terminal e per strada non c’erano taxi né autobus». Altrettanto sicuro, secondo Özkaraca, è l’unico risultato ottenuto dai «colonnelli» golpisti: «Il bombardamento del Parlamento ha rafforzato ancora più il potere di Erdogan».