La sua interpretazione «crossdressing» in Psycho (in Italia «Psyco»), il film di Alfred Hitchcock del 1960, è immortale ed è il ruolo (ripetuto per tre sequel) che lo ha consegnato alla storia. Anthony Perkins nei panni di Norman Bates è puro terrore, in quel bianco e nero vivo che gela. Sempre. Non solo quando è vestito con gli abiti della madre, quando ne imita la voce o sfoga gli impeti omicidi; anche quando non c’è; ad esempio nel momento in cui la macchina da presa disvela il contenuto della sua stanza: sedia a dondolo, oggetti da bambino e bambina, da adulti, una bambola, un uccello impagliato, il disco della Sinfonia n. 3 di Beethoven, la celebre Eroica; oppure in una delle tante scene che nei film di Hitchcock celebrano il cibo. Nella fattispecie in Psycho, Marion (Janet Leigh) sbocconcella il suo toast in un ambiente quasi spettrale, circondata da volatili impagliati e Norman Bates – con pacatezza da brivido – che le dice: «Mangiate quanto un uccellino». Poco dopo finirà assassinata dallo stesso Norman/madre nella doccia, in un lago di cioccolata (in bianco e nero sembrava sangue).

 

DUE ANNI PRIMA 
Due anni prima, Anthony Perkins, che negli album si faceva chiamare Tony, non era mica così. Incideva canzoni e aveva una voce beata, un suono sottile, celestiale qui e là aggredito da uno swing irresistibile. Risultato: un album omonimo nel 1957, e due nel ’58, On a Rainy Afternoon e From My Heart, entrambi su Rca nell’ambito della storica serie «Living Stereo», delizia del mondo lounge e cocktail.
Non solo, prima di essere Bates, Perkins aveva lavorato in tv da quando aveva 21 anni e aveva già recitato al fianco di Sophia Loren, Gary Cooper, Lee Van Cleef o Audrey Hepburn a cui – in Verdi dimore di Mel Ferrer – avrebbe cantato anche una serenata. E poiché orrore e terrore arrivano da lontano si ritroverà sullo schermo (nel western del 1957 Il segno della legge) anche con una giovane Betsy Palmer, futura, sanguinaria Pamela, la mamma di Jason Voorhees, protagonista della saga di Venerdì 13. Ma nessuna recitazione – da L’uomo solitario a L’ultima spiaggia o In punta di piedi – poteva competere con quella irrefrenabile passione canora. Che esploderà nel ’56 quando canterà all’interno di «Goodyear Television Playhouse», una serie televisiva Usa su Nbc, in cui ogni episodio rappresentava una storia a sé. La partecipazione (episodio Joey) e la canzone (A Little Love Goes a Long, Long Way) gli frutteranno subito un contratto discografico con la Epic. Da lì al primo swing il passò sarà molto breve. Perché è vero che anche lui rientrava nell’ampia sfilza di vocalist attori, ma rispetto ai colleghi, Tony andava oltre; non flirtava con Ricky Nelson ma preferiva Chet Baker, un jazz umorale, «molto sensibile», come scriveranno negli Usa.
A dirigere e arrangiare il primo album omonimo, Marty Paich, campione della scena West Coast jazz, noto per aver lavorato con Ray Charles, Neil Diamond, Sammy Davis Jr., Ella Fitzgerald, Aretha Franklin, Stan Getz, Michael Jackson, Frank Sinatra, Spirit, Barbra Streisand, Mel Tormé o Sarah Vaughan.
All’interno, tanto per rendere l’idea, classici di Gershwin (How Long Has This Been Going On), Cole Porter (Why Shouldn’t I), lo swing irresistibile di Hit the Road to Dreamland o How About You. Tutto incentrato sulla sua voce tenue, oscura, incredibilmente versatile e tanto ispirata da Chet Baker. Perché Tony Perkins cantava, eccome. Il disco è stato ristampato nel 2003, all’interno anche tre 45 giri che l’avevano preceduto. Sempre nel ’57 arriverà anche il singolo Moon-Light Swim, pezzo inciso in origine da Bing Crosby e interpretato nel film Blue Hawaii (1961) anche da Elvis, artista di cui Perkins era un super fan e si sente. Sarà l’unico brano dell’attore a entrare in classifica (24esimo posto) negli Usa. Lo stesso tenore introspettivo traspare dal secondo e terzo album; in particolare da From My Heart dove la melanconia si scioglie a tratti in ritmi irresistibili come Swinging on a Star, già cavallo di battaglia di Bing Crosby. Ma il tempo delle canzoni stava velocemente finendo. E nonostante in The Matchmaker (1958), il film con Shirley Booth e Shirley MacLaine, avesse mostrato grandi propensioni alla musica. Il fatto è che due anni prima era stato nominato dalla Academy per il western La legge del Signore (canterà anche il tema del film) e da lì tutto avrebbe puntato in un’unica direzione: il cinema.

ALTRI SGUARDI
Saranno solo tre i suoi album ma tutti zeppi di titoli che consentono di guardare a Psycho e a Norman Bates con un occhio e un’ attenzione diversi: Accidents Will Happen, Why Was I Born, Why Shouldn’t I («Ci saranno incidenti», «Perché sono nato», «Perché non dovrei»). Da brivido, ripensandoci. Una cosa è certa: i patiti del jazz vocale e del West Coast cool resteranno a bocca aperta, travolti dalle sfumature e dalla emotività delle interpretazioni. Non solo. Perkins fu anche un artista di riferimento della «Living Stereo», la serie inaugurata dalla Rca proprio nel 1958.
Con quel catalogo nulla sarebbe stato più come prima. Si concretizzavano, infatti, gli sforzi dell’etichetta di prefigurare un mondo tutto in stereo. Non a caso proprio nel 1958 la Rca si era affidata alla Westrex, una sussidiaria della AT&T, che tempo prima aveva progettato la prima testina per incidere in stereo la matrice utilizzata per pressare il disco.
Le etichette, grandi e piccole, cominciarono così ad affidarsi a veri e propri «maestri della stereofonia», musicisti in grado di evidenziare le capacità tecniche dei nuovi apparecchi e al contempo le proprie qualità di «stereo arrangiatori». E niente era come la Living di cui negli anni ’90 sono giunte sul mercato ristampe di artisti come Esquivel, Bob and Ray, Three Suns o Tito Puente. Ad esempio in Bob and Ray Throw a Stereo Spectacular (1958), il disco di Bob Bollard e Ray Hall, noti entertainer Usa, le note avvertivano che il linguaggio della stereofonia era ormai d’uso comune e che un discorso con una signora poteva addirittura iniziare chiedendo informazioni sullo stato di salute del suo pre-amp (ovvia la metafora sessuale). Poi il monito: «Questo è disco concepito per essere suonato solo su apparecchi stereo. Sostituendo la testina si otterranno comunque risultati eccellenti anche con i convenzionali fonografi ’ad alta fedeltà’».

SPACE AGE POP
Con il revival Space Age Pop molte raccolte anni ’90 sono tornate a saccheggiare suoni e artisti delle maggiori serie stereofoniche anni ’50-’60-’70: oltre alla «Living Stereo» anche «Stereo Action» (Rca), «Phase 4» (Decca), «Full Dimensional Stereo» (Capitol), «Visual Sound Stereo»/«Spectra Sonic Stereo» (Liberty), «Super Stereo» (Mgm), «Perfect Presence Sound» (Mercury).
Allo stesso tempo sono tornate d’attualità quelle iscrizioni oscure e avvincenti che negli anni ’50 e ’60 caratterizzavano le copertine delle singole etichette: «Surround Sound», «360° Sound», «Full Spectrum Pan Ortophonic Sound», «Stereophonic Curtain of Sound» e «VisualSound», il suono da vedere, da seguire con gli occhi. In quegli anni le copertine assomigliavano a veri e propri manuali d’ingegneria elettronica, colme di rappresentazioni grafiche di onde sonore impazzite e con ben pochi riferimenti all’effettivo contenuto musicale dei dischi.
In sostanza, seppur per poco, Tony Perkins era stato al centro di un mondo sonoro che stava cambiando per sempre. L’attore, che rivelerà la sua bisessualità al compimento dei 40 anni, è morto di Aids il 12 settembre 1992, all’età di 60 anni, a Hollywood. La vedova Berry Berenson è morta l’11 settembre 2001 nello schianto sulle Torri Gemelle del volo American Airlines 11. La coppia ha avuto due figli: l’attore Oz Perkins e l’eccellente alt-folk rocker, Elvis Perkins.