Anno «bellissimo», praticamente da brividi
Istat/Ocse Con la Nota mensile riferita al mese di febbraio, l’Istat conferma lo stato di sofferenza dell’economia italiana. C’è la «recessione tecnica» (due trimestri consecutivi col segno meno), nonostante la revisione […]
Istat/Ocse Con la Nota mensile riferita al mese di febbraio, l’Istat conferma lo stato di sofferenza dell’economia italiana. C’è la «recessione tecnica» (due trimestri consecutivi col segno meno), nonostante la revisione […]
Con la Nota mensile riferita al mese di febbraio, l’Istat conferma lo stato di sofferenza dell’economia italiana. C’è la «recessione tecnica» (due trimestri consecutivi col segno meno), nonostante la revisione al rialzo del dato sul Pil relativo al quarto trimestre dell’anno scorso (-0,1% anziché -0,2%), peggiora la fiducia delle famiglie e delle imprese.
Ne è prova anche l’andamento dei prezzi, stabili benché inchiodati a «valori storicamente bassi», molto al di sotto del target ottimale fissato dalla Bce (vicina al 2%). Un quadro stagnante, che non risparmia il mercato del lavoro (l’Istat parla di «sostanziale tenuta»), sebbene a gennaio si sia registrato un aumento dei «dipendenti permanenti» a scapito dei «dipendenti a termine e degli indipendenti».
È la fotografia di un Paese sospeso, che si guarda intorno, che aspetta di capire in che direzione evolveranno gli eventi. Un atteggiamento che produce un effetto di sedazione sulla congiuntura, come attestano anche le previsioni relative a questi primi mesi dell’anno. L’«indicatore anticipatore» dell’istituto di statistica relativo al primo trimestre evidenzia, infatti, un’ulteriore contrazione dell’economia, in un quadro mondiale dai «segni persistenti di debolezza e di rallentamento» (è stimata al 3,3% la crescita globale, sotto di quattro decimali sul 2018).
Numeri che convergono con le previsioni dell’ultimo Interim Economic Outlook appena pubblicato dall’Ocse, che stima addirittura che il 2019 si chiuderà per l’Italia con il segno meno (-0,2%). Lontanissimi dall’1% che il governo ha posto alla base dell’ultima manovra di bilancio, su cui ha calibrato tutte le previsioni relative ai conti pubblici ed alla loro tenuta per l’anno in corso e quelli a venire (all’1% crescerebbe l’eurozona nel suo complesso, con la Germania allo 0,7%). Peggio di noi, tra le grandi economie del pianeta, farebbero soltanto l’Argentina e la Turchia. E non si tratterebbe di una tempesta passeggera.
Le difficoltà rimarrebbero anche nel 2020, con un tasso di crescita che non andrebbe oltre lo 0,5%, meno della metà di quanto era stato stimato in precedenza, un passo decisamente più lento rispetto a quello delle altre economie europee.
Perché l’Italia pagherebbe un prezzo più alto nell’attuale congiuntura internazionale sfavorevole? Pesano senza dubbio l’incertezza politica che alimenta la sfiducia di operatori economici, consumatori, famiglie, e il modo, inefficace, con cui è stata affrontata la crisi negli anni scorsi (austerità, crollo degli investimenti pubblici), ma anche il nostro essere un’economia troppo ripiegata sull’export, che presta poca attenzione alla domanda interna (disuguaglianze e povertà fanno la loro parte), con una questione salariale mai seriamente affrontata.
Le tensioni che disturbano il commercio mondiale stanno producendo effetti negativi sulla nostra bilancia dei pagamenti, con inevitabile riverbero sui principali indicatori macroeconomici del Paese. A gennaio, la bilancia commerciale con i Paesi extra-europei ha fatto registrare, dopo molti anni, un saldo negativo di mezzo miliardo di euro, a fronte di un surplus di 4,28 miliardi registrato nel mese di dicembre del 2018. Rimaniamo ai primi posti in Europa in quanto ad attivi commerciali, ma scontiamo un rallentamento delle nostre attività oltre confine.
Lo dimostrano, d’altro canto, anche i dati più recenti sugli ordinativi ed il fatturato delle industrie italiane, mai così giù dal 2009. Nel 2018 i primi sono crollati del 5,3%, mentre il secondo ha subìto una caduta vertiginosa del 7,3%. E nei primi mesi di quest’anno? Il Centro Studi Confindustria (Csc) ha rilevato che a febbraio si è avuta una contrazione della produzione industriale dello 0,5% rispetto al mese precedente, mentre la caduta su base annua, rispetto a febbraio dell’anno scorso, è stata del 2,6%. Continuano i tempi duri, nessun segnale di un’inversione di tendenza significativa.
Numeri. Ma danno l’idea di un Paese che non è mai realmente uscito dalla crisi. Nessun cambio di passo significativo, né politiche pubbliche, industriali, sociali, in grado di favorirlo, il cambio di passo. Una magra consolazione potrebbe essere quella di ritornare in recessione, quella vera, senza dover rinunciare a precedenti momenti di prosperità. Si fa per dire, ovviamente.
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