Non è difficile immaginare la faccia di stupore, adrenalina e interlocuzione degli amanti dell’underground quando, a inizi anni novanta, il negoziante di fiducia faceva ascoltare loro due brani come Io mi chiamo Giovanni Trapattoni o Il pugile sentimentale. I capitolini Gronge furono fra i primi a intraprendere la strada dell’autoproduzione e legarono la loro musica alla performance artistica sul palco. Stile electro-punk surreale e ironico, con il lirismo dei testi e i campionamenti ossessivi che hanno fatto dell’anomalia l’essenza della loro coerenza.

Ora la ristampa antologica su doppio cd, Gli anni 90 (Again Record), con due dei dischi principali, A Claudio Villa (1991) e Teknopunkabaret (1993), per ricordarne lo spirito poetico e quanto la sperimentazione possa portare lontano. Anche perché, come mi ha detto bene qualche giorno fa Marco Bedini, fondatore, voce e batteria dello band, oggi più che mai: «C’è ancora bisogno di grongerie».