«Guardando indietro, noto che i miei album hanno quasi sempre a che fare con lo scorrere del tempo, o con la sua mancanza. Spesso al centro c’è la relazione privilegiata con i luoghi in cui vaghiamo o anche con quelli in cui ci fermiamo. È come una sorta di andirivieni del mondo, delle stagioni che si susseguono, dei posti in cui siamo spinti a tornare… Queste emozioni, raccolte nella vita reale, prendono forma attraverso immagini e parole. Ognuno di noi può trovare il proprio universo».

Anne Brouillard, autrice e illustratrice belga nata a Lovanio nel 1967 (in Italia pubblicata da Orecchio Acerbo con Viaggio d’inverno e Nino, e adesso da Babalibri con Killiok) sarà al centro di un nutrito tributo alla Bologna Children’s Book Fair (8 – 11 aprile).
A lei è dedicata la mostra La terre tourne. Scivolare nel tempo alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, mentre l’installazione site specific A casa di Killiok è prevista negli spazi di Hamelin. A completare il focus, ci saranno un volume della collana Oblò e due incontri: al Caffè degli illustratori della fiera (mercoledì 10) e all’Accademia di belle arti (venerdì 12).

Da bambina era una avida lettrice? Era più forte il fascino esercitato dalla letteratura o quello della natura selvaggia?
Ero una lettrice molto tranquilla, non veloce. Quando ho iniziato a leggere, ho continuato a ritornare sugli stessi libri, più e più volte. Poi la situazione è cambiata: è accaduto dopo una lunga malattia, quando mia sorella ha cominciato a leggere storie per me. È stato un momento importante, mi ha aperto nuovi orizzonti letterari. Ma ancora oggi continuo a godermi romanzi e storie lentamente. Credo che letteratura e natura selvaggia possano coesistere. Ricordo le immagini di alcuni libri che mi sprofondavano d’improvviso in fitte foreste. Mi immergevo nelle illustrazioni e cercavo di vedere cosa ci fosse oltre. Quando si è bambini, lo spazio possiede altre dimensioni. Un angolo del giardino può trasformarsi in un bosco impenetrabile e ci si dimentica del resto del mondo.

La scrittrice Anne Brouillard

Ha una certa famigliarità con il pensiero antispecista?
A dire il vero, non tanto. Però mi sembra abbastanza normale che l’essere umano non sia al centro e che tutte le forme viventi siano considerate alla pari. Perché mai l’essere umano dovrebbe essere sovrano? Quando si rimane a lungo nella natura, immobili, osservando, ascoltando, senza una vera meta, succede che non si esiste più separatamente, si diventa parte di un tutto, delle rocce, della luce, del vento tra gli alberi.

Killiok è una creatura ibrida (assomiglia molto a un cane). Da dove viene il suo personaggio e chi ricorda?
Killiok è principalmente un cane. Nei primi albi in cui appare, cammina a quattro zampe, come tutti i suoi simili. Gradualmente subisce una mutazione in un personaggio a sé stante e si alza sulle zampe posteriori. Ripensandoci, posso dire che è un dolce mix tra i Mumin di Tove Jansson e Simp, un piccolo cane nero che prendeva vita in un albo di John Burningham, un libro che ho molto amato nella mia infanzia.

Lei ha origini fiamminghe e svedesi, due paesi in cui la fantasia ha sempre avuto un posto nella pittura, nella letteratura e nell’illustrazione per ragazzi… Si è ispirata a dipinti o a leggende nordiche?
Mio padre è belga (vallone, non fiammingo) e mia madre svedese. Ho sempre vissuto in Belgio, ma viaggio regolarmente in Svezia. Mi sono certamente ispirata alla letteratura e alla pittura di questi due paesi, ma non necessariamente l’ho fatto in modo consapevole. Nella mia parte belga, alberga la fantasia, il surrealismo, le case verticali contro i cieli crepuscolari, le dimore abbandonate lungo le ferrovie… Sul versante svedese, invece, c’è la grande foresta con la sua magia, dove tutto può accadere: macchie di muschio che si sollevano, rivelando un piccolo essere sotto, alberi che si muovono da soli…

Nel suo libro «Voyage d’hiver», anche la geografia è fantastica, immaginaria. Cosa associa all’idea di cartografia e viaggio: una promessa, una fuga dalla vita quotidiana?
Voyage d’hiver è come una lunga tela che suggerisce un paesaggio visto attraverso il finestrino di un treno. L’ambientazione è ispirata alla realtà, un viaggio tra due città del Belgio dove la linea ferroviaria segue un fiume. Né la tela né il libro possono corrispondere alla lunghezza del tragitto vero. La sensazione dell’atmosfera del paesaggio e lo scorrere del tempo sono condensati nell’immagine continua di questo albo. E questo fa sentire tutti un po’ fuori posto. Non si sa più dove ci si trova. Ma lo sappiamo mai veramente?

Segue una sua «disciplina» nel lavoro in studio?
Il mio metodo di lavoro varia a seconda di ciò che devo fare, del periodo dell’anno o del luogo in cui mi trovo. Mentre rispondo, sono alla mia scrivania, seduta al tavolo dove disegno, davanti alla finestra. Fuori, il sole, le nuvole che passano e il vento tra le chiome degli alberi. Alla mia destra, pentole di inchiostro, pennelli e penne. Su un tavolino accanto a me, c’è una scatola aperta con 80 matite colorate. E poi, intorno il silenzio. Ma un silenzio che contiene tutti i suoni della vita intorno a me. Uccelli, la portiera di un’auto che si richiude, voci, un aereo in lontananza, il riscaldamento all’interno, qualcuno che tossisce, il vento che porta via i rumori. A volte, metto la musica per disegnare, ma per concentrarmi sulle parole è preferibile il silenzio. Altre volte, faccio una passeggiata nel bosco vicino prima di accomodarmi al tavolo da disegno. Il mio studio è qualcosa di mobile. Posso allestirlo praticamente ovunque, purché ci sia luce e una certa quantità di pace e tranquillità.

In un mondo saturo di dispositivi digitali, cosa potrebbe incoraggiare i bambini e le bambine a leggere e a scoprire mondi paralleli attraverso le parole e i disegni?
I dispositivi digitali sono solo strumenti. Possono anche essere un mezzo per raccontare storie, sviluppare l’immaginazione e raccogliere i sogni. Il problema è che gli schermi tendono a essere invasivi e ipnotizzanti. I libri possono essere divorati, aperti e richiusi in continuazione. Gli schermi, invece, ci divorano. Ma l’immaginazione rimane sempre qualcosa di indomabile e sfuggente. Si nutre di tutto. Ha solo bisogno di spazio. E non va dimenticato poi che sarebbero gli adulti a dover dare l’esempio.